Perché Boeri ha ragione
Siamo alle solite. Dopo l’intervista a Federico Fubini sul Corriere della sera, Tito Boeri è stato invitato da Matteo Salvini a candidarsi addirittura alla segreteria del Pd. Eppure, il presidente dell’Inps (il quale ha dichiarato per l’ennesima volta di essere disposto a dimettersi se la richiesta gli pervenisse in modo ufficiale e corretto e non attraverso un tweet o una dichiarazione) si era limitato a leggere e a commentare un articolo (il 21) del disegno di legge di bilancio dove emerge con assoluta chiarezza che non esistono norme di (contro)riforma della disciplina vigente per quanto riguarda le pensioni né indicazioni in grado di dare un’idea su come sarà il reddito di cittadinanza. Infatti, l’articolo 21 istituisce due distinti Fondi presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con possibilità per gli stessi di utilizzare reciprocamente, a compensazione, eventuali risparmi realizzati.
Il primo è il Fondo per il reddito di cittadinanza volto a introdurre nel nostro ordinamento il reddito e la pensione di cittadinanza con una dotazione pari a 9 miliardi di euro annui a decorrere dal 2019 (risorse in parte destinate al potenziamento dei Centri per l’impiego e al finanziamento di ANPAL Servizi S.p.A.). Fino all’entrata in vigore di tali istituti continuano ad essere garantite le prestazioni del Reddito di inclusione. Il secondo è il Fondo per la revisione del sistema pensionistico attraverso l’introduzione di ulteriori forme di pensionamento anticipato e misure per incentivare l’assunzione di lavoratori giovani, con una dotazione pari a 6,7 miliardi di euro per il 2019 e di 7 miliardi di euro annui a decorrere dal 2020. Tutto qui. Nonostante che da mesi non si parli d’altro, non vi è traccia delle quote (100 e 41), del rifinanziamento di opzione donna, della pensione di cittadinanza e di quant’altro ha solleticato la fantasia degli italiani, animando approfondite discussioni tanto nei talk show quanto in tutti bar Sport della Penisola. Anzi, dal Ministero del Lavoro fanno sapere che i testi resteranno segreti fino al loro arrivo in Consiglio dei ministri.
Con Tito Boeri, allora, ci chiediamo perché l’attuazione di questi due obiettivi così rappresentativi delle politiche giallo-verdi è stata rinviata a disegni di legge collegati o a decreti legge (ammesso e non concesso che vi siano le condizioni d’urgenza) successivi all’approvazione della manovra. La risposta è semplice: per fare quadrare i conti sarà necessario ridimensionare le promesse. Per questo motivo, il governo si è limitato a stanziare delle risorse – che sono dei veri e propri limiti alla spesa – rinviando la relativa disciplina sia del reddito di cittadinanza sia delle ”ulteriori forme di pensionamento anticipato”. È legittimo, infatti, il dubbio che, in presenza di articolate normative in materia, sarebbe venuta allo scoperto l’inadeguatezza del finanziamento, tanto da indurre la Ragioneria Generale a non ”bollinare” gli articoli incriminati, privandoli così di un requisito essenziale per poter essere esaminati e votati. Secondo il presidente dell’Inps i 9 miliardi a copertura del reddito (e la pensione?) di cittadinanza potrebbero consentire ”scenari compatibili”, a condizione tuttavia di guardare ”a redditi e patrimoni per decidere a chi concedere il trasferimento”.
Si dovrebbe tener conto, per esempio, di chi ha la proprietà della casa. Per evitare le frodi ”c’è bisogno di coinvolgere i Comuni, che hanno la maggiore esperienza e prossimità”. Bene anche l’introduzione di applicativi software – avverte Boeri – ma ”non illudiamoci che i veri poveri stiamo davanti al computer per una specie di clic-day del reddito di cittadinanza”. Le note più dolenti riguardano le pensioni. ”L’idea di una dotazione piatta e costante – sostiene il presidente del più grande ente previdenziale d’Europa – a sette miliardi l’anno non è minimamente supportata da alcuna delle simulazioni che ci hanno chiesto”. E’ la medesima valutazione a cui era pervenuto l’Ufficio parlamentare del bilancio (Upb) nella nota depositata il 12 novembre scorso presso le Commissioni Bilancio riunite. ”Qualora effettivamente l’intera platea potenziale del 2019 utilizzasse il canale di uscita a ”quota 100” appena soddisfatti i requisiti, nell’ipotesi di assenza di finestre e quindi di assegno pensionistico erogato già a partire dal mese successivo alla maturazione di tali requisiti – vi sta scritto – si può stimare un aumento della spesa pensionistica lorda di quasi 13 miliardi nel 2019.
Questa spesa, incrementata per i probabili effetti amministrativi che si determineranno tra il primo e il secondo anno per effetto dell’entrata a regime dell’anticipo pensionistico, rimarrebbe sostanzialmente stabile – prosegue il documento – negli anni successivi solo se si ipotizzano per il requisito anagrafico della quota 100 gli stessi adeguamenti automatici alla speranza di vita previsti dal sistema vigente (in assenza di questa ipotesi sarebbe crescente, nel tempo, il lasso temporale di anticipo massimo rispetto ai requisiti Fornero e di conseguenza sarebbe crescente la spesa lorda)”. Peraltro, in una recente dichiarazione, anche Alberto Brambilla, l’esperto vicino alla Lega, ha confermato che senza correttivi per quota 100, non basterebbero gli stanziamenti previsti. Ecco perché Tito Boeri, nell’intervista a Fubini, ha ipotizzato che, in ragione dei limiti di spesa e del monitoraggio, il governo pensi, a ”un meccanismo come quello delle salvaguardie (degli esodati, ndr) in cui noi (Inps, ndr) monitoriamo la spesa e quando si arriva al limite delle risorse, possono accedere alle pensioni solo coloro il cui diritto viene certificato da noi”. Ed aggiunge: ”Sottoporre alla logica del rubinetto dei requisiti previdenziali che danno luogo a dei diritti soggettivi alla pensione è qualcosa di mai visto”.
L’HUFFPOST