Il risparmio, le famiglie italiane e i soldi sotto il materasso
Esprimono lo spirito del tempo perché a partecipare a una rissa sui social ci vuol poco quando però si passa alle scelte concrete che incidono sulla vita quotidiana e sul benessere le opzioni politiche, anche le più radicali, passano in secondo piano. Quando ragiona da risparmiatore l’italiano mette da parte le sue convinzioni, gli fanno da bussola più i comportamenti atavici della famiglia di provenienza che le appartenenze politiche. Il risultato è che il 62% di un campione di italiani sondato da Ipsos per conto dell’Acri tiene i soldi, in parte o in toto, sul conto corrente contro il 33% che invece li investe.
Ma facciamo un passo indietro e ricordiamo come gli italiani abbiano ripreso a risparmiare e infatti i dati mostrano nel secondo trimestre ‘18 un’accentuata propensione a metter da parte. La ripresa economica iniziata nel 2015, l’aumento dell’occupazione hanno comunque contribuito a invertire il ciclo precedente quando si prelevava dal risparmio per finanziare i consumi e scongiurare di dover cambiare stili di vita. Oggi si è ripreso ad accumulare: il 48,5% sempre secondo Ipsos-Acri dichiara di fare risparmi senza troppe rinunce, a loro va aggiunto un 38% abitudinario «che non vive tranquillo se non mette da parte qualcosa». Il 39% è riuscito a risparmiare negli ultimi 12 mesi e per pesare il valore di questo dato bisogna pensare che nel 2012 era sceso al 28%. Risparmiare non è una scelta neutra e lo dimostra la linea piatta dei consumi: è vero che il ceto medio per un paio d’anni ha sostituito la sua vettura con delle nuove Panda e Punto ma questo ciclo non poteva durare all’infinito. E così è stato con il drastico calo di vetture immatricolate che si registra negli ultimi mesi. Per gli altri beni durevoli — soprattutto inerenti la casa — la sostituzione ha camminato a singhiozzo e non si è mai veramente schiodata.
Chi mette da parte non vuole investire. Sembra un paradosso ma è così. Il conto corrente bancario è utilizzato come il vecchio materasso che nelle battute di sempre viene tirato in ballo come allocazione ottimale per il risparmiatore ansioso e diffidente. Siamo grosso modo tornati a quel punto e la stessa battuta infatti è tornata di moda nelle conversazioni a cena o al bar. Del resto con questi tassi così bassi investire fa guadagnare solo un 1% in più e i soldi sul conto corrente fino a 100 mila euro sono super-garantiti. Anche gli immobili che hanno rappresentato l’investimento ideale di generazioni di italiani — ancora nel 2010 era stimato al 54% — è caduto fino al 32%. «Siamo ottimi risparmiatori e pessimi investitori — dice il professor Paolo Legrenzi, psicologo e docente all’università Ca’ Foscari di Venezia — e stavolta ad ampliare la tendenza ci sono le incertezze del quadro economico. I confronti con gli altri Paesi ci dicono che un fenomeno di questo tipo non si è prodotto altrove, tenere i soldi liquidi è una forma di assicurazione all’italiana e il modo con il quale si affronta il “non si sa mai”, formula che riassume l’eventualità di un cambio del regime monetario fino a un evento negativo che può colpire la famiglia».
Si può rintracciare in quest’atteggiamento del risparmiatore una valenza politica? C’è un nesso tra la nuova stagione politica caratterizzata dal trionfo del populismo e i comportamenti dell’italiano medio in materia di denaro? Una robusta corrente di pensiero, che comprende lo stesso Legrenzi ma anche Giorgio De Rita che ha recentemente curato un’indagine Censis sugli investimenti dei benestanti, sostiene che il populismo non si è fatto antropologia e quindi assistiamo a una dissociazione tra la risposta che si dà a un sondaggio sulle preferenze elettorali e l’input che si fornisce alla propria banca. Si può aggiungere che la tradizionale diffidenza dell’italiano davanti al denaro si congiunge oggi con una preoccupazione aggiuntiva («dove stiamo andando?») e tutto ciò porta a considerare i soldi come materiale incandescente che va parcheggiato, quantomeno per raffreddarlo. «Il risparmio comunque vuole l’euro — commenta il banchiere Roberto Nicastro — e gli italiani non vogliono perdere l’euro. La può pensare come vuole sulle politiche di Bruxelles ma il risparmiatore medio se prende in considerazione uno scenario di ritorno alla lira si agita. Non lo considera un ambiente a lui favorevole».
Nell’indecisione che finisce per caratterizzare chi vuol tenersi liquido molto gioca — secondo i sondaggisti — la difficoltà di decifrare la ricaduta delle scelte governative sul proprio bilancio familiare. Quella quota di risparmiatori liquidi che comunque guarda con simpatia alle mosse del governo Conte non sa però quali conseguenze implichino per lui. Che effetti concreti di portafoglio avrà il pensionamento anticipato di quota 100 per chi lo richieda? Le stesse partite Iva sotto i 65 mila euro di ricavi sanno che saranno avvantaggiate dalla flat tax ma sono coscienti che i benefici li sentiranno solo nella primavera del 2020. Una data che in epoca di presentismo suona lontanissima per poter orientare le scelte di impiego del risparmio.
Accanto all’italiano del conto corrente c’è un’altra tribù di risparmiatori altrettanto interessante. Sono le famiglie che nel tempo hanno affidato i loro soldi al risparmio gestito. È un risparmiatore per lo più anziano o che appartiene alle classi medio-alte. Oggi è una vittima dello spread anche se non ne è pienamente consapevole. Si può dire però gli sia già costato come una piccola patrimoniale. Gli addetti ai lavori calcolano questa perdita sui portafogli tra l’1 e il 3% grazie anche alla strategia di prudente diversificazione che i fondi hanno messo in atto, se infatti il nostro risparmiatore avesse investito da solo tutto il suo gruzzolo nei Btp lo spread gli sarebbe costato già un taglio del 10%. Quanto è grande questa tribù? Se prendiamo i lavori di Bankitalia sulle attività finanziarie delle famiglie possiamo dire che oscillano tra un quarto e un terzo delle famiglie italiane. Se non avranno bisogno di liquidare a breve la loro perdita resterà per ora virtuale e ne saranno via via più coscienti attraverso i colloqui con i gestori o esaminando l’estratto conto. Sarà interessante capire le loro reazioni ma è difficile pensare che disinvestano e si aggiungano d’un colpo ai «liquidi».
I capitali all’estero In cima alla piramide dei risparmiatori troviamo infine coloro che si pongono come tema prioritario «portare i soldi fuori dall’Italia». È evidente che si tratta di risparmiatori che hanno maturato un giudizio estremamente negativo sull’operato del governo e più generale sulla prospettiva-Paese e agiscono di conseguenza. Secondo gli addetti ai lavori si tratta di uno strato estremamente sottile, culturalmente cosmopolita e in grado di affrontare le procedure necessarie per implementare la propria scelta. Dal punto di vista quantitativo i numeri dei deflussi di capitale da parte di investitori esteri cominciano ad essere significativi (44 miliardi dall’inizio dell’anno). Da un’indagine Censis i clienti del private banking italiani, risparmiatori che hanno qualche centinaio di migliaia di euro di patrimonio mobiliare, per il 53,6% considerano l’Italia «un Paese sempre meno ospitale per chi ha risorse da investire».
Una cosa comunque stupisce in questa fase e cozza con una lettura trionfalista dell’incidenza delle forze populiste: una seppur leggera risalita della reputazione delle banche. Se qualche tempo fa gli istituti di credito erano considerati l’emblema stesso delle politiche di austerity ed erano accusate di aver truffato il risparmio, oggi l’orientamento è mutato. Quantomeno si tende molto a distinguere tra il sistema bancario senza volto e «la mia banca», infatti la fiducia nel mondo creditizio è quotata da Ipsos 32 mentre quella nei confronti della propria banca 61. In fondo gli episodi di «risparmio tradito» hanno interessato solo l’1% dello stock e di conseguenza il restante 99% si è sentito tutelato. Se poi prendiamo in esame i risultati di un’indagine Censis per l’associazione del private banking (Aipb) la sorpresa è ancora maggiore: il sentimento prevalente degli italiani nei confronti dei benestanti è «l’indifferenza» con 48,8 punti bilanciata però dalla somma tra «ammirazione» e «rispetto» (44,9 punti) mentre «riprovazione morale» e «rancore», che avremmo potuto pronosticare molto più in alto, si fermano — pur sommati — a quota 14. Consenso politico e filosofia del denaro seguono quindi strade diverse? «Non mi pare proprio che il risparmiatore italiano abbia voglia di indossare il cilicio e seguire i nuovi Savonarola. Si muove secondo una logica radicata nel tempo» conclude Legrenzi.
CORRIERE.IT
This entry was posted on mercoledì, Novembre 21st, 2018 at 07:46 and is filed under Politica. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can skip to the end and leave a response. Pinging is currently not allowed.