Di Maio al veleno: “È stato Giorgetti”

Una giornata surreale, con la Camera che per ore sembra affondare in una sorta di universo parallelo. Una realtà alternativa in cui la Commissione Ue non ha appena bocciato la manovra italiana e dove l’asta dei Btp Italia non è andata praticamente deserta, con l’Istat che rivede al ribasso le previsioni per il Pil 2018 e l’Ocse che boccia la ripresa italiana.

In Transatlantico si parla d’altro, perché il governo è schierato in aula al gran completo per risolvere una bega parlamentare sul ddl anticorruzione dopo che martedì sera la maggioranza è andata sotto su un voto segreto. Per la photo opportunity che deve immortalare l’unità di una maggioranza sempre più in fibrillazione ci sono il premier Conte, i vicepremier Di Maio e Salvini e il sottosegretario alla presidenza Giorgetti. Sono lì alla Camera, proprio nei minuti in cui da Bruxelles si abbatte la tempesta dell’ormai scontata bocciatura, tutti presi dal ddl sulla corruzione che ormai per il M5s è diventato un provvedimento bandiera. Non a caso, è stato il leader grillino a pretendere che Salvini ci mettesse la faccia e, suo malgrado, il ministro dell’Interno ha accettato.

D’altra parte, che la Lega abbia avuto un ruolo centrale nel fare andare sotto la maggioranza martedì sera è fuori di dubbio. «L’incontro è durato dieci minuti e – spiega in Transatlantico il portavoce del premier Rocco Casalino -, sia Salvini che Giorgetti hanno capito la gravità della situazione e che noi non saremmo arretrati». Un faccia a faccia che si porta dietro tensioni e soprattutto veleni. Già, perché il sospetto di Di Maio è che l’operazione che ha fatto rientrare dalla finestra la norma sul peculato nota come «salva Lega» sia stata orchestrata proprio da Giorgetti. I deputati del M5s hanno infatti notato in aula un certo attivismo dei parlamentari della Lega molto vicini al potente sottosegretario alla presidenza del Consiglio, alcuni dei quali non sarebbero neanche dovuti essere tra i banchi perché in missione. Di qui il sospetto che ci sia la «manina» di Giorgetti dietro l’inaspettato scivolone sul ddl anticorruzione. Un’accusa non nuova per il Gianni Letta della Lega, visto che quando Di Maio evocò la «manina» che a suo dire avrebbe manipolato il testo sul decreto fiscale dopo l’approvazione in Consiglio dei ministri non poteva che riferirsi a lui. Comunque siano andate le cose, l’occasione per il leader del M5s è ghiotta per rispedire a Salvini le critiche di questi mesi di governo gialloverde. «Poi dici a me che non controllo i miei gruppi parlamentari – è stato il senso del suo ragionamento – quando tu sostieni di non sapere nulla di cosa hanno combinato i tuoi sul ddl anticorruzione…».

L’aria che si respira, dunque, è questa. Confermata da un Salvini che entra ed esce dall’aula con un viso che non pare affatto disteso. Chissà se solo perché mal sopporta il dover passare la sua giornata «prigioniero» della Camera o anche per il vento che soffia da Bruxelles. Comunque sia andata martedì sera, il rapporto con Giorgetti non sembra in alcun modo in discussione. E questo nonostante il pressing asfissiante del sottosegretario alla presidenza, sempre più convinto che sulla manovra «finiremo per andare a sbattere» se Di Maio continua a non voler fare alcuna modifica. «L’ho detto a Matteo, questi sono matti veri…», confidava alcuni giorni fa un sempre più cupo Giorgetti ad un ex parlamentare. D’altra parte, pare essere l’unico nel governo davvero preoccupato da quella che per l’Italia potrebbe diventare una lunga notte europea. Tutti gli altri tacciono e si defilano. Come Giovanni Tria, intercettato dai cronisti in Transatlantico dopo aver risposto al question time sull’otto per mille alla Chiesa. Il ministro dell’Economia preferisce infatti svicolare silenzioso nonostante le domande insistenti, finché ormai nel corridoio della Corea dal gruppo dei giornalisti c’è chi sbotta incredulo: «Ma davvero in una giornata come questa ha il coraggio di non parlare?».

IL GIORNALE

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