Matteo Salvini, la pressione del Nord. Gli amministratori locali spingono per staccare la spina
Il problema è Mattarella. “Se non ci fosse Mattarella al Quirinale Matteo avrebbe fatto saltare il tavolo su Tav o inceneritori” così racconta chi ha parlato in questi giorni con Salvini. In molti lo sollecitano a passare all’incasso, forte dei sondaggi, alla prima occasione utile. La settimana di tregenda sulla giustizia, che non è un dettaglio per un partito come la Lega, ha avuto l’effetto di moltiplicatore del malessere. Perché “quanto altro possiamo reggere così”, gli ripetono in parecchi, con una coalizione che è diventata un condominio litigioso, e un contratto di governo che, nella quotidianità di questi mesi, ha cancellato il contratto col Nord stipulato negli elettori: la flat tax, il tema fiscale, una politica per le imprese. E, perché no, anche un po’ di garantismo per un partito che governa da tanto e ovunque e, come fisiologico, incappa in qualche incidente con la giustizia.
Ed è un segnale l’intervista che il governatore Lombardo Attilio Fontana ha rilasciato a un quotidiano romano, il Messaggero, per dire che “io lavoro bene con Forza Italia” e invece “dentro i Cinque stelle vedo una deriva giustizialista”. Non è poco, dentro un partito para-leninista come la Lega, dove la comunicazione e centralizzata e la discussione riservata. Non deve essersi stupito Salvini più di tanto perché sono giorni che proprio i suoi governatori del Nord gli spiegano che il “blocco sociale è in sofferenza”. Lo hanno fatto sia Fontana sia Zaia in un incontro di qualche giorno fa: “Quanto possiamo reggere così?” è la domanda che è stata posta al Capitano, insolitamente preoccupato.
Non è solo questione di Confindustria e Assolombarda, intese come vertici, è il tessuto profondo delle piccole e medie imprese che è entrato in sofferenza. Poco incline alla narrazione del governo gialloverde, e alle sue crociate ideologiche, allergico al reddito di cittadinanza, preoccupato per i mutui e la salute delle banche, è un mondo che, da sempre, vota con le tasche e poco si appassiona alle polemiche con Juncker.
E se è vero che i sondaggi dicono che proprio nel Nord e nel Nord Est la Lega è al massimo, il polso suggerisce prudenza. In politica accade spesso così, che la rabbia parte proprio dove prima c’era grande speranza. “I piccoli imprenditori si stanno incazzando”, se n’è accorto anche il ministro Lorenzo Fontana, uno dei più freddi in questa esperienza gialloverde, al termine dell’ennesimo incontro nel Nord che lavora e che produce. E all’ordine del giorno c’è il problema del che fare. Secondo la famosa “bestia”, la struttura che cura la comunicazione a Salvini, si è arrivati al “bottom up”, nei sondaggi. Ha cioè funzionato quella strategia benedetta anche Steve Bannon: apparire non ostile all’elettorato dei Cinque Stelle, anzi quasi amico, perché questo avrebbe favorito un “assorbimento”. Ora però il rischio è che l’acquisizione dell’elettorato altrui metta a rischio il proprio, soprattutto perché il Nord vuole concretezza.
È un warning che arriva da una classe dirigente esperta. La fine della luna di miele si avverte a livello popolo. Quel popolo che sembrava quasi predisposto a una sorta di Pup – Partito unico populista – l’altra sera a Nuoro chiedeva a Matteo di “staccare la spina” perché “con quelli non si va avanti”.
Il problema è che ciò che è facile a dirsi è difficile a farsi: come rompere, quando, e poi il che succede. Il problema è Mattarella, tanto che Salvini ha chiesto di capire un po’ meglio come la pensa il Quirinale. La sua sensazione è che un governo nasce in un minuto. Perché i Cinque Stelle hanno la regola del secondo mandato e, dunque, le urne sono la fine di Di Maio e il ritorno a lavoro per molti. E poi c’è il Pd in pieno congresso, senza una linea, una leadership che farebbe di tutto per non prendere un’altra batosta. Questo pensa Salvini, che quando parla di Quirinale pensa a una spectre di poteri: la Bce, la Commissione, Juncker, con Mattarella come terminale. È questa la ragione per cui il leader della Lega si è dato una deadline per valutare il da farsi a dopo le regionali di gennaio e febbraio, in Abruzzo e Sardegna. Sarà a quel punto che deciderà se provare a incassare un vantaggio verificato sul campo, con i voti veri. E tentare la spallata. Perché l’altra alternativa non viene neanche presa in considerazione, nonostante le lusinghe di Berlusconi. E anche di qualcuno dei suoi: tentare la via di palazzo Chigi senza passare per le urne sarebbe un boomerang. Neanche se ne parla. Se non ci fosse Mattarella, ripete Salvini, sarebbe già fatta.
L’HUFFPOST