Pensioni, reddito e spesa: così cambierà la manovra

Clausole di salvaguardia per mantenere il deficit perlomeno al livello previsto per il 2019.

Ma siccome non basterà, per convincere Bruxelles il governo sta valutando misure che incidono sulla legge di Bilancio. In primo luogo, una rimodulazione che sposti risorse dalla spesa corrente a quella in conto capitale. Quindi agli investimenti.

Il tutto non potrà che avere ripercussioni, tagli alla dotazione finanziaria, sulle principali misure contenute nella legge di Bilancio: il reddito di cittadinanza (nove miliardi di spesa per il 2019) e la pensione a quota 100 (6,7 miliardi di euro). L’idea di fondo è di lasciare invariato il saldo della manovra stornando le risorse verso investimenti pubblici. Un tipo di spesa pubblica che ha un effetto immediato sul Pil, a differenza di quella impiegata per sussidi e rendite.

Il menu delle modifiche non è ancora stato definito. Ieri il premier Giuseppe Conte ha assicurato che si stanno definendo «i dettagli», in attesa dei calcoli precisi dell’impatto finanziario delle singole misure. Luigi Di Maio e Matteo Salvini hanno confermato merito e misure dei capisaldi della manovra. In realtà sono allo studio modifiche.

Per quanto riguarda quota 100, l’obiettivo è scoraggiare il più possibile i pensionamenti anticipati. La Ragioneria generale dello Stato sta studiando misure che riguardano sopratutto il pubblico impiego. Interventi per spostare la data del ritiro degli statali verso la fine dell’anno. Nei giorni scorsi una delle ipotesi più quotate era un congelamento dei Tfr degli statali, un’ulteriore riduzione della quota che può essere liquidata in una unica soluzione. Ma adesso è spuntata una misura che va in direzione opposta. Per diminuire l’impatto finanziario della riforma della legge Fornero il governo potrebbe ricorrere ai meccanismi come l’Ape. In sostanza, estendere la riforma previdenziale di Renzi, in particolare per la versione sociale, quella riservata ad alcune categorie.

Le modifiche al reddito di cittadinanza stanno prendendo sempre più piede. La proposta di Armando Siri, sottosegretario leghista, che consiste nello spostare le risorse del sussidio alle imprese che assumono e fanno formazione per giovani disoccupati, ha fatto breccia anche nel M5s. Ieri l’economista Pasquale Tridico, consigliere del vicepremier Luigi Di Maio, ha dato una sua versione. In sintesi, uno sgravio contributivo di tre/sei mensilità. Anche in questo caso si ricorre alla decontribuzione, strumento già utilizzato dai precedenti governi. Non verrebbero tagliati fuori i centri per l’impiego, come vorrebbe Siri, ma è chiaro che il governo sta cercando di spostare le risorse verso le imprese. Obiettivo, convincere Bruxelles che la principale misura di spesa della legge di Bilancio servirà a fare crescita e non è un sussidio.

Tutto da definire il capitolo investimenti. Ma potrebbero assorbire la metà delle risorse stanziate per reddito di cittadinanza e pensioni.

Per ora i vicepremier Matteo Salvini e Luigi Di Maio non intendono toccare il saldo della manovra. Di tutt’altro avviso il ministro dell’Economia Giovanni Tria, che vorrebbe portare in dote a Bruxelles un taglio del deficit nominale rispetto al documento approvato dello 0,4%. Un disavanzo al 2% non avrebbe difficoltà a passare a Bruxelles. Difficilissimo farlo accettare a M5s e Lega, perlomeno in questa fase della trattativa.

Inevitabili le clausole di salvaguardia per non sforare il deficit al 2,4%. Il governo sta pensando ad automatismi, che non potranno che essere di natura fiscale o a tagli lineari alla spesa pubblica.

IL GIORNALE

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