Non riescono a chiudere la manovra
Mancano i pilastri, ma anche il tetto e le fondamenta. L’edificio della nuova manovra – quella che il governo gialloverde sta approntando nell’ambito della trattativa diluita con Bruxelles – non prende forma. I lavori sono fermi alla fase della demolizione della casa originaria, quella che lasciava l’Europa fuori dal portone blindato del deficit al 2,4 per cento. Non un passo di più, se non la presa di coscienza obbligata che il progetto sulla carta è cambiato. Litigano i due capo cantieri, Luigi Di Maio e Matteo Salvini, che si marcano a uomo. Se metti un pezzo tu, allora anche io voglio mettercelo, è il ragionamento che caratterizza le ultime ore concitate in vista di un probabile nuovo vertice con all’ordine del giorno il tentativo di trovare almeno una quadra sul tetto. Presa coscienza che il pedinamento reciproco è sfociato nell’immobilismo ecco che si prova a capire almeno fino a dove abbassare il deficit, se al 2,1% piuttosto che al 2 per cento. Un tentativo in vista dell’Eurogruppo di domani per dare una parvenza di movimento e buona volontà.
Fino ad adesso dal cantiere si è alzata solo la polvere. Basta guardare il contenuto dei 54 emendamenti depositati dal governo e dai relatori in commissione Bilancio, alla Camera, dove è in corso l’iter della legge di bilancio: si spazia dal Superenalotto alle norme contro i furbetti della flat tax, passando per misure sulle farmacie piuttosto che sull’Accademia della Crusca.
Non c’è traccia del reddito di cittadinanza, né della quota 100. Eppure il nuovo edificio da tirare su deve necessariamente prevedere pilastri più snelli perché solo riducendo gli importi delle due misure care a Salvini e Di Maio – nella prima versione fissati a 6,7 miliardi e 9 miliardi – si può arrivare a un’altezza del tetto più vicina ai desiderata della Commissione europea.
Le proposte di modifica che sono arrivate a Montecitorio dicono essenzialmente una cosa e cioè che il primo tentativo di dare un segnale a Bruxelles è fallito. Perché? Ci sono due ordini di motivi. Il primo – politico – è legato alla dinamica che sta caratterizzando l’interlocuzione tra Lega e 5 Stelle. È un meccanismo a incastro che non riesce a comporsi perché l’inserimento di una norma di una delle due parti equivale a un gap consistente per l’altra. È andata così anche alla vigilia della presentazione degli emendamenti e la stessa dinamica – secondo quanto spiegano fonti di governo a Huffpost – si è riproposta anche durante la giornata di domenica. Di Maio ha provato a dare il là a questo meccanismo, spingendo per l’introduzione del taglio alle pensioni d’oro appunto con un emendamento alla Camera. Salvini, però, ha replicato: allora nel testo deve entrare la norma su quota 100, che è già pronta. Però così i 5 Stelle si sarebbero ritrovati con la Lega all’incasso e il reddito di cittadinanza invece fuori. Niente da fare, fumata nera. Da qui la natura degli emendamenti depositati alla Camera. Entrambi i partiti e anche fonti di palazzo Chigi, concentrandosi in modo alternato sui due temi, hanno ribadito che queste norme arriveranno durante il passaggio in Senato. È comunque uno slittamento, tra l’altro a giorni che saranno alquanto complicati, quelli di metà dicembre, quelli in cui tra il Consiglio europeo del 13-14 dicembre e le probabili raccomandazioni per l’Italia all’Ecofin da parte della Commissione europea bisognerà necessariamente lavorare con l’acqua alla gola.
Le divergenze non si sono esaurite. Il taglio delle pensioni d’oro resta al centro del cantiere in subbuglio con fonti di palazzo Chigi che assicurano l’arrivo dell’emendamento al Senato o addirittura in extremis ancora prima, cioè alla Camera, mentre Salvini parla di “ennesima bufala”. Anche per il reddito di cittadinanza e la quota 100 si fa riferimento al passaggio a palazzo Madama, ma il timing ora è sballato. Di certo non è quello allineato dell’inizio, quando si pensava di affidare le due misure a due distinti decreti da approvare subito dopo la manovra. La ricostruzione dell’edificio ha scombussolato tutto e ha fatto affiorare una dinamica chiara, quella di chi ora punta a una sorta di costruzione in solitaria o quantomeno a completare prima la parte a cui più tiene rispetto all’altro capocantiere. Solo che l’edificio da far visionare a Bruxelles deve tenersi insieme in tutte le sue componenti. I lavori sono ancora lunghi. L’unico elemento che è rimasto tra il vecchio e il nuovo edificio sono le promesse fatte ai rispettivi elettorati. Soprattutto da quelle dipende la fisionomia della facciata finale della nuova manovra.
L’HUFFPOST
This entry was posted on lunedì, Dicembre 3rd, 2018 at 09:54 and is filed under Politica. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can skip to the end and leave a response. Pinging is currently not allowed.