Conte oscura i due vice Ma ora toccherà a lui trattare la resa in Europa
Con l’«inchino» che i due baldi vicepremier sono stati costretti a mettere nero su bianco domenica, lodandolo e indicandolo come unico garante del governo, Giuseppe Conte si è ufficialmente preso, dopo cinque mesi a Palazzo Chigi, il bastone del comando.
Sarà lui a trattare la resa con la Commissione europea, con l’investitura piena pretesa e ottenuta da Salvini e Di Maio, che hanno alla fine realizzato di essersi malamente infilati in un cul de sac, bruciandosi tutti i ponti alle spalle. Il premier invece si è dimostrato più lungimirante: fin dall’inizio, un po’ per la naturale disposizione ossequiosa e compiacente, un po’ per la vertigine del tutto inaspettata di trovarsi ammesso al tavolo dei «Grandi», ha sempre evitato il conflitto, lo scontro o anche l’accesa discussione. Si è fatto concavo o convesso a seconda della necessità e dell’interlocutore, sempre col sorriso stampato in faccia e l’eloquio un po’ vacuo ma mite e rassicurante. Per gli Juncker, le Merkel e i Moscovici è diventato così l’unico italiano di governo con cui si può ragionare, mentre i suoi due danti causa erano impegnati a spernacchiarli, insultarli e spenzolarsi dai balconi. Intanto Conte si prendeva zitto zitto il suo spazio anche in patria: ha costruito una buona relazione con il Quirinale, garantendo a Mattarella la linea del dialogo e della trattativa con l’Europa.
Ha salde relazioni con alte burocrazie e centri del potere romano meno visibili: del resto in molti si mossero per raccomandare l’oscuro professore della scuderia del noto amministrativista Alpa, divenuto amico del grillino Bonafede, alla Casaleggio. Che infatti lo infilò nel fantagoverno Di Maio e poi lo propose come premier. Ed è proprio con la Casaleggio, motore immobile del partito Cinque Stelle, che Conte ha stabilito nel tempo il terzo legame, quello più importante per il suo futuro politico. Un legame non più mediato da Di Maio, ma diretto: un cambiamento, poco percettibile all’esterno, che ha reso Conte molto più sicuro di sé e autonomo dal cosiddetto «capo politico» del movimento, e ha indebolito assai Di Maio internamente. Tanto che ormai tra i Cinque Stelle (come raccontava ieri la Stampa) si parla apertamente di un possibile cambio di cavallo: in caso di voto anticipato, Conte potrebbe assurgere al ruolo di candidato premier grillino. Forte anche dei sondaggi, che attribuiscono al poco visibile premier consensi vicini a quelli di Salvini e ben superiori a quelli di Gigino. Il quale, in nome della regola dei due mandati, verrebbe rispedito a Pomigliano a fare il bagno nella piscina paterna, mentre lo scalpitante Di Battista potrebbe utilmente restare a bere mojito in Sud America. La priorità, per l’azienda-partito milanese e il suo business, è quella di tenere in sella questo governo e il proprio piede nella stanza dei bottoni, anche a costo di ingoiare svariati compromessi politici. Conte quindi va salvaguardato a tutti i costi. E domani può diventare la carta di riserva per contendere il piatto a Salvini.
IL GIORNALE