Manovra, Tria in Parlamento: “Ma non mi fate domande”

ALESSANdRO BARBERA
ROMA

«Imbarazzante». «Contraddittorio». «Una pantomima». Fino al corrosivo «ha mandato Maurizio Crozza». Roma, 4 dicembre 2018, Camera dei deputati. Mancano venti giorni a Natale e la legge di bilancio per l’anno prossimo è ancora al primo passaggio parlamentare. Il ministro del Tesoro Giovanni Tria, paralizzato dal tentativo di mediazione con l’Europa affidato da Lega e Cinque Stelle al premier Giuseppe Conte, non sa che dire ai deputati, i quali a loro volta non possono chiudere la discussione sugli emendamenti. Di rientro da Bruxelles dopo l’ennesimo incontro con il commissario agli Affari monetari Pierre Moscovici, Tria fa la cortesia di presentarsi a Montecitorio e si dice disposto ad una «informativa». Quando gli viene chiesto di accettare un’audizione, minaccia di andarsene. Il presidente della Commissione Bilancio, il leghista Claudio Borghi, trova l’abile compromesso: una domanda per gruppo. Ma l’assenza di novità spinge comunque i parlamentari dell’opposizione – da Leu a Fratelli d’Italia – ad abbandonare i lavori per protesta.

Conte, e con lui Di Maio e Salvini, fanno esercizio di ottimismo. Ma secondo i ben informati la distanza fra Roma e Bruxelles è tutt’altro che colmata. Né la Commissione europea, né tantomeno l’Ecofin (il consesso dei ministri delle Finanze dei Paesi dell’area euro) possono permettersi di concedere all’Italia più dell’1,9 per cento di deficit: significherebbe buttare alle ortiche il patto di Stabilità.

Per ridurlo dal 2,4 per cento al 2-2,1, Luigi Di Maio e Matteo Salvini dovrebbero comunque accettare di dimezzare il fondo da 16 miliardi previsto nella manovra per reddito di cittadinanza e controriforma delle pensioni. Tria alla Camera conferma l’intenzione di trovare un po’ di risorse spostando immobili dallo Stato alla Cassa depositi e prestiti, ma si tratta di soluzioni una tantum che non cambiano la sostanza della trattativa. «Siamo ancora lontani da un accordo», ammette una fonte di governo.

 

I tempi ora stringono davvero: tolti i festivi, restano venti giorni. Conte chiede tempo fino al Consiglio europeo del 13 e 14 dicembre. Alla Camera si è iniziata a spargere la voce che si dovrà lavorare prima e dopo il giorno di Natale. Difficile evitarlo: se entro il 31 dicembre la manovra non sarà approvata in via definitiva, si andrà all’esercizio provvisorio e il giorno dopo, il primo gennaio, scatteranno le clausole di salvaguardia che prevedono gli aumenti Iva. Per quanto rapido il governo si mostrerà, è una possibilità tutt’altro che remota: se – come promesso – il governo rimetterà mano anche ai saldi dovrà fare un ulteriore passaggio alla Camera. A questo punto le probabilità che reddito di cittadinanza e pensioni arrivino nel passaggio del Senato si riducono ai minimi termini. D’altra parte il testo della legge di bilancio dice già che le due misure potranno essere approvate solo in un secondo momento. Per Di Maio e Salvini, già in campagna elettorale, quel che conta è che entrino in vigore entro maggio. Per l’Europa conta esclusivamente il costo delle misure nel lungo termine. E senza una decisa marcia indietro che abbatta il costo dei sussidi per reddito e pensioni, l’accordo non ci sarà. «Se il tema è risparmiare un po’ di soldi senza cambiare la platea noi ci siamo», dice Di Maio. Ma subito dopo promette «pensioni minime per tutti a 780 euro», una misura che da sola vale un paio di miliardi.

LA STAMPA

 

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