Per Salvini ci sono “prima gli italiani”, ma al ministero assumono cinesi
Non è chiaro come mai Geraci si sia speso anima e corpo per l’assunzione della giovane Lingjia Chen, nata nella provincia dello Zhejiang nel 1992, e perché l’abbia voluta a tutti i costi nel suo staff. Ma è certo che – dopo settimane di pressioni – qualche giorno fa il gabinetto del dicastero di Di Maio ha formalizzato la sua assunzione tra i dipendenti pubblici del Mise.
La Chen, però, non metterà probabilmente mai piede in Italia: la sua postazione di lavoro è stata allestita, con scrivania e computer, nella sede di Shanghai del nostro Istituto per il commercio con l’estero, dove pare si debba concentrare soprattutto sul tema dell’export. «Non parla l’italiano, ma solo mandarino e dialetto wu. Per molti non ha qualificazioni professionali tali da giustificare l’assunzione al Mise» protesta qualche suo nuovo collega. «Si presenta a tutti come assistente personale del Geraci, che ha le deleghe per il Commercio internazionale ed è a capo della cosidetta “Task Force Cina” voluta da lui e da Di Maio. Ma lui non l’ha piazzata nella Task Force, che comprende un elenco di centinaia di persone. La Chen lavora direttamente per lui: ha accesso all’agenda di Geraci e a tutti i dossier sensibili del governo curati dal sottosegretario. Una cosa che in genere viene fatto da personale italiano, soprattutto per motivi di sicurezza».
Dal curriculum pubblicato su Linkedin risulta che la Chen lavori da qualche mese anche per la sede di Pechino della Boston Consulting, e che si occupi delle «relazioni esterne dell’economista Michele Geraci», direttore pure del Global Policy Institute, dall’ottobre del 2015: la giovane assistente cura «i rapporti con i media, l’organizzazione di conferenze, Pr Events, e il coordinamento dei social media». Ma la Chen segnala di essere «membro importante» di una ricerca energetica per gli investimenti dell’Eni in Cina e di aver curato in passato contatti tra l’istituto diretto da Geraci e i governanti cinesi per un documentario sulla società e l’economia della Cina.
Al Mise, in effetti, sono sorpresi. E anche qualche importante esponente della nostra intelligence vuole vederci chiaro. Geraci, però, non ha voluto sentire ragioni. Anzi: lo scorso 30 settembre ha persino preso carta e penna, e inviato una lettera – su carta intestata del Mise – alla sede di Intesa Sanpaolo, con cui chiede l’apertura di un conto corrente per la sua collaboratrice. «La presente» scrive Geraci nella missiva «per confermare che la signorina Lingjia Chen farà parte dello staff del Prof. Michele Geraci presso il ministero dello qSviluppo economico, con contratto e condizioni in via di definizione. A tal fine, si richiede l’apertura di un conto corrente presso la vostra banca su cui verranno canalizzati i compensi di tale attività».
Dopo la firma del contratto, anche alla Corte dei Conti – dove ogni nuovo decreto di assunzione viene messo ai raggi X – vogliono capirne di più: al Mise sono infatti arrivati alcuni rilievi in merito al permesso di soggiorno, alla possibilità che l’incarico sia o meno riservato ai cittadini dell’Unione europea, e richieste per scongiurare eventuali conflitti di interesse.
Geraci non è un sottosegretario banale. Ex ingegnere elettronico, ex broker alla Merrill Lynch, alla Schroders e alla Bank of America, un Mba al Mit di Boston (L’Espresso ha controllato, il master l’ha preso davvero) si trasferito in Cina nel 2008, ed è rimasto in Oriente per dieci anni, fino alla chiamata al governo voluta direttamente da Matteo Salvini. In Cina tiene lezioni per alcune università (la Nottingham University e la Zhejiang University, dove pare abbia incontrato la giovane Chen rimanendone professionalmente folgorato), e in passato ha lavorato a progetti di ricerca che «si sono rivolti a governi e società private, mirati ad offrire raccomandazioni politiche orientate alla pratica e non accademiche» si chiarisce in un suo curriculum vitae «Gli argomenti di mio interesse hanno ricompreso la politica monetaria, le disparità di reddito, le migrazioni, l’urbanizzazione, la crisi economica europea, nonché la tematica di fusioni e acquisizioni. Parlo italiano, inglese, cinese, spagnolo e francese».
vedi anche:
Salvatore Barca, il cooperatore fallito che l’M5S ha scelto per il Mise
Amico personale di gioventù, il fedelissimo Barca ha seguito Luigi Di Maio al ministero dello Sviluppo economico, di cui è da poco diventato segretario generale. Per dieci anni ha gestito una coop napoletana che ha fatto crack. Nel suo curriculum una laurea online
È nel giugno del 2018 che Geraci fa il grande passo, e decide di entrare nel governo pentastellato. Se è Salvini ad averlo voluto fortemente come sottosegretario al Mise, Geraci ha ottime entrature anche tra i Cinquestelle: sono anni che scrive sul blog di Beppe Grillo articolesse sulla Cina, descritta come una sorta di paradiso in terra, e panacea di tutti i mali italici. Secondo Geraci il regime cinese può aiutarci comprando il nostro made in Italy e i nostri Btp per rifinanziare il debito, ma il professore (a contratto) nei suoi recenti incontri con le autorità cinesi ha ipotizzato anche di far entrare Pechino dentro Alitalia, nelle società dei porti italiani (in primis quello di Trieste), mentre qualche giorno fa ha annunciato di aver trovato un «importante gruppo cinese interessato a valutare l’acquisto del Palermo: ho il contatto, ma bisogna verificare se davvero il presidente Zamparini ha ceduto o meno la società».
Tra le uscite di Geraci che hanno fatto maggiore scalpore, c’è sicuramente quella dello scorso giugno, quando il sottosegretario (fan accanito sia della flat tax salviniana sia del reddito di cittadinanza made in Casaleggio) ha spiegato come l’Italia debba prendere esempio dal governo di Pechino. Su temi eticamente sensibili come la gestione dei flussi migratori, l’ordine pubblico, i rapporti con l’Africa. Letto il post, un gruppo di 23 tra professori universitari e ricercatori, tra i maggiori esperti italiani della Cina al mondo, hanno deciso di rispondere al sottosegretario, stigmatizzando le sue «affermazioni azzardate» in una lunga lettera pubblica: «Geraci non menziona come nel caso cinese si sia trattato di migrazione interna, quindi assolutamente non comparabile con i flussi migratori della nostra area mediterranea, e per di più pilotata fin dall’inizio dal governo di Pechino. In secondo luogo…le statistiche sulla criminalità in Cina spesso sono edulcorate dal funzionari locali a cui conviene mostrare il successo della propria amministrazione», senza dimenticare «il sistema brutale con cui il crimine viene represso in Cina, che utilizza ancora la tortura nelle proprie stazioni di polizia: dure campagne anticrimine hanno ancora luogo a cadenze regolari».
Geraci in un post dello scorso aprile, sempre sul blog di Grillo, ha infine affermato che difendersi dall’invasione dei prodotti cinesi è, di fatto, impresa impossibile. Dunque, la nostra unica possibilità è legata alla valorizzazione delle nostre competenze sostenibili, quali arte, storia, pensiero, cultura. «Il reddito di cittadinanza» ragiona Geraci «deve essere concepito come un investimento che lo stato fa per sprigionare quel potenziale innato in ognuno di noi e liberare i giovani dall’assillo dello stipendio. Un assillo che porta a fare scelte di studio e di lavoro non consone alla propria indole e toglie risorse alle arti liberali che invece sono il supporto del nostro paese». Il reddito di cittadinanza non deve deve essere considerato un bonus per i fannulloni, «ma» aggiunge letteralmente il sottosegretario «un metodo per continuare lungo la tradizione delle arti liberali, un investimento che lo Stato può fare per cercare di far emergere cento mille nuovi Michelangelo dalla Cappella Sistina commissionata da Giulio II. È un investimento che lo Stato fa per cercare di trasformare un fannullone di oggi in un potenziale talento».
In attesa che la promessa dei grillini diventi realtà e tutti gli italiani abbiano almeno 780 euro al mese per provare a diventare novelli Raffaello, Geraci ha deciso di dare un reddito di 36 mila euro l’anno a un giovane talento. Cinese, s’intende.
L’ESPRESSO