Pd, renziani allo sbando
Tana libera tutti. O meglio: Renzi libera tutti. Ormai è chiaro che lavora a un’altra Cosa, sia pur tra mille ambiguità. Perché i sondaggi, quelli veri, non sono così rassicuranti. Lasciando anche il grosso dei suoi al loro destino. Sconcerto. Smarrimento. Incertezza. Il Transatlantico pare un formicaio impazzito: “E ora? – chiede un parlamentare del Sud a Boccia – Io avevo una iniziativa convocata per Minniti, che dico alla gente?”. Non è un caso isolato, anzi. Senza il proprio leader e senza il candidato al congresso c’è un intero mondo spaesato. Nelle stesse ore Nicola Zingaretti, in un’iniziativa molto affollata all’università con Cacciari, in una sala molto affollata parla del suo “nuovo Pd”, aperto alla società civile, inclusivo, per nulla rancoroso. L’accordo per una gestione plurale prevede Paolo Gentiloni nel ruolo di presidente, la candidatura alle Europee di Carlo Calenda al Nord, e un ruolo di primo piano per Gianni Cuperlo, l’anima più di sinistra e di “discontinuità” radicale col renzismo.
È in questo clima che Luca Lotti, uno che va al sodo, e Lorenzo Guerini, l’altro artefice dell’operazione Minniti, si attaccano al telefono: “Fermi tutti, almeno per 24 ore. Il tema non è uscire o no, ma è costruire una corrente, tenere assieme tutti i nostri”. Il tentativo delle prossime 24 ore è quello di costruire una diga, prima del rompete le righe finale, accelerato dalla prospettiva di una disfatta congressuale.
Perché si capisce che l’ex segretario ha in mente un soggetto nuovo: non una scissione, fatta di ceto politico e nomenklatura, ma proprio un’altra cosa. È su questo che è maturato il gran rifiuto di Minniti. Nel corso dell’ultimo incontro, l’ex ministro dell’Interno ha chiesto a Lotti e Guerini un impegno solenne, scritto, a considerare il Pd l’unica casa comune escludendo progetti di scissione. Fonti degne di queste nome raccontano che i due lo avrebbero anche preso ma che, alla fine di un giro di telefonate, sono stati costretti a rifiutare, perché c’era tutta l’ala dei falchi del renzismo, Maria Elena Boschi in primis, e con lei Marattin, la Bellanova ad averlo impedito. Perché il cosiddetto modello “Ciudadanos” di Renzi, prevede, nell’ambito del suo mondo, sommersi (i più) e salvati (assai pochi): “Il punto – prosegue uno dei protagonista della trattativa finale con Minniti – non è tanto Renzi che ha detto ‘fate quello che volete’ ma sono i suoi, che hanno paura di rompere con Renzi, hanno paura che non se li porti nel suo partito, e dunque non hanno firmato”.
È questa la tensione che si registra all’interno di un mondo che, da protagonista, si sente trattato come una zavorra. Per intenderci: se è da escludere che nella nuova lista non ci saranno i vari De Luca, cacicchi e capibastoni vari, non è da escludere che ci sarà la Boschi, Sandro Gozi, Ivan Scalfarotto e pochi altri. Anzi sono già nella cabina di comando, con la Boschi addirittura più determinata di Renzi sulla linea di fondare un altro soggetto fuori dal Pd, nell’illusione che ci siano le masse pronte ad accoglierlo, e con lo spirito settario che è meglio comandare in casa più piccola che sentirsi ospiti in casa altrui. Parliamoci chiaro: non è Minniti, Zingaretti o chicchessia il tema della discussione ma l’impossibilità e l’incapacità di un pezzo di quel mondo a riconoscere un “capo” che non sia Renzi.
L’ipotesi alimenta una dinamica da “liberi tutti”. E rende urgente la decisione sul “che fare”. C’è chi ha contattato Graziano Delrio, per valutare un sostegno a Martina. C’è chi attende di capire se davvero Renzi andrà fino in fondo perché non è neanche facile per lui scaricare coloro che hanno condiviso le scelte, il potere, i segreti di questi anni. Dicevamo, Lotti, il pragmatico. Fosse stato per lui, settimane fa avrebbe già strutturato la “corrente” e fatto un accordo con Zingaretti, negoziando quote di potere nella nuova gestione. Adesso è tutto maledettamente più complicato. A partire dall’ultimo tentativo di “congelare” il congresso affidando a Paolo Gentiloni il ruolo di traghettatore fino alle europee. Un’ipotesi assai poco praticabile, per l’indisponibilità dello stesso Gentiloni e degli altri due candidati che, col mondo renziano allo sbando, hanno a questo punto un congresso in discesa. E non vivono come un dramma l’abbandono di Renzi: “In fondo – dice Debora Serracchiani – quel che sta accadendo è un elemento di chiarezza. Il tema è che il congresso serve e va fatto per costruire una opposizione forte. Punto”. A una settimana dalla presentazione delle firme i renziani non hanno un candidato. L’idea più probabile è quella che, alla fine, sarà chiesto il sacrificio a Lorenzo Guerini, la colomba che proprio per evitare traumatiche rotture sin dal primo minuto fu artefice della candidatura di Minnini. Con l’obiettivo di “tenere assieme la corrente di 70 parlamentari e 500 sindaci. Quanto sarà compatta, dopo il liberi tutti, è altro discorso.
L’HUFFPOST