Svolta, atto secondo. Salvini riconosce l’importanza dei corpi intermedi, le imprese scelgono il loro interlocutore
Proprio come accaduto solo qualche giorno fa, dopo la manifestazione di Torino, grido di dolore del Nord che lavora e che produce, carne e sangue della constituency della Lega, anche nella sua versione nazionale. Ricordate il “lasciateci lavorare” rivolto da Salvini alle associazioni di impresa? Linguaggio rude e sbrigativo, con Vincenzo Boccia bistrattato come uno che parla perché mosso da un pregiudizio politico, espressione di un establishment confindustriale refrattario al cambiamento, lasciando intendere che il popolo produttivo è altra cosa.
Evidentemente, non poteva reggere, perché questo “partito del Pil” non è un’invenzione della Casta confindustriale, ma il popolo di artigiani, commercianti, piccole e medie imprese. E se è vero che, da tempo, Salvini non parla più il linguaggio del “sindacato del territorio”, in nome di un progetto compiutamente nazionale, è anche vero che la fortuna di questo progetto si fonda anche sull’abilità a tener viva una doppia ispirazione, come gli ricordano quotidianamente i suoi governatori, perché è complicato immaginare un partito nazionale che ignori gli interessi del Nord o governare col tessuto produttivo del Nord all’opposizione.
C’è tutta questa presa d’atto della realtà nel secondo atto della “svolta”, con l’incontro al Viminale, al termine del quale Boccia parla di un rapporto “riallacciato” con Salvini e il vicepremier parla di “inizio di un percorso comune”. Un confronto di questo tipo non può che essere un inizio di interlocuzione e di un reciproco riconoscimento, non solo un caffè di cortesia. Perché, come si dice in questi casi, è chiaro che, se alle parole non seguiranno i fatti, gli imprenditori ne prenderanno atto già alla prossima manifestazione, convocata da Confartigianato per il 13, dove parteciperanno le Pmi di tutta Italia e saranno presenti le sigle ricevute oggi al ministero. E il primo segnale, in tal senso, è arrivato da Matteo Salvini, che, nel corso della sua intervista a Mezz’ora in più, ha ipotizzato un “coinvolgimento attivo delle imprese nel reddito di cittadinanza”, recependo proprio una proposta avanzata al tavolo da Maurizio Casasco della Confapi e non solo. Proposta ancora confusa nella sua realizzazione pratica ma che, di fatto, significherebbe che, per come è stata concepito – sussidio di Stato, erogato attraverso i bancomat postali – non c’è più.
Si vedrà, perché è ancora tutto maledettamente confuso in una manovra che, al 9 dicembre e dopo un passaggio alla Camera, ancora non fissa il “come”, il “quando” e il “quanto” sulle due misure principali, reddito di cittadinanza e quota 100. Né il leader della Lega ha preso impegni, limitandosi ad ascoltare le richieste del mondo dell’impresa sulla necessità di rivedere le stime di crescita previste in manovra e di tagliare 4 miliardi nel rapporto deficit-Pil, per evitare la procedura di infrazione. Così come non è stato nelle condizioni di spingersi sulla Tav, trincerandosi dietro il Contratto di Governo, al netto delle sue personali convinzioni. Conta, però, la mossa politica, e il processo che (potenzialmente) innesca. Parliamoci chiaro: un leader che, solo poche settimane fa, diceva di far colazione con lo spread e ora fa colazione con le imprese, cita De Gasperi, smussa i conflitti, insomma porta nel Governo la pressione del mondo produttivo e tenta una mediazione con l’Europa, sta facendo una operazione politica. Per necessità o per virtù, o facendo di necessità virtù perché, come ha ripetuto oggi, “si fanno tanti errori”, “si sbaglia”, “si cresce”. Come fanno i professionisti della politica che si adattano alla situazione concreta e non resta appesa alle chiacchiere ideologiche. I professionisti dell’antipolitica seguono affannosamente, ricevendo martedì le imprese che hanno già scelto il loro interlocutore.
L’HUFFPOST
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