“Riallacciato con Salvini, tocca a Di Maio”. Intervista a Vincenzo Boccia, presidente di Confindustria

È riuscito a spuntare l’impensabile, anche solo pochi giorni fa: il riconoscimento, da parte di un leader populista come Salvini – che fa della disintermediazione un cavallo di battaglia – dell’importanza dei corpi intermedi per la gestione del Paese. “È un risultato molto importante, è fondamentale un ponte fra chi rappresenta gli interessi di categoria e gli interessi del Paese. Faccio un esempio: se con un emendamento notturno fai passare l’ecotassa e poni la questione dell’auto elettrica prescindendo dalle esigenze dell’industria italiana, scoprendo solo dopo che danneggia la filiera nazionale, senza nemmeno considerare un periodo di transizione, è evidente che non ci siamo. Se avessero ascoltato prima, lo avremmo evitato”.

Presidente Boccia, si è domandato che cosa sia cambiato in pochi giorni nel rapporto con il Governo?

È accaduto che a Torino eravamo 12 associazioni che rappresentano 3 milioni di persone. Questa dimensione quantitativa ha cambiato il sentiment della politica in senso generale rispetto a quelle che erano le nostre proposte. Si è capito che quella era una piazza sostanziale, virtuale, con numeri non marginali per partiti che vogliano rappresentare il paese in modo molto più ampio. Vede, all’inizio ci sono stati toni che mettevano molta amarezza. Che il ministro dello Sviluppo dicesse in un tweet ‘popolo, stateci vicini, perché Confindustria ci attacca’, solo perché avevamo criticato il decreto Dignità, ha comportato una tensione nei modi e nella sostanza. Spero che sia una fase del passato, perché non ha alcun senso.

Qual è il risultato che porta a casa dall’incontro con Salvini?

Oggi si sancisce un elemento di salto potenziale di qualità con la Lega – che era un partito a vocazione di disintermediazione – con il vice premier che sottolinea l’importanza dei corpi intermedi, la volontà e la necessità di dialogo per coniugare ragioni legate alla questione sociale con ragioni legate alla crescita, che è la vera clausola di salvaguardia per risolvere la questione sociale nel medio termine. È evidente che la convocazione di oggi al Viminale apre a un tavolo di martedì con Di Maio che doveva riguardare la piccola impresa e invece diventa per motivi tattici interni al Governo un tavolo molto più largo che parla anche di manovra economica. Ci auguriamo che anche quel tavolo superi ogni pregiudiziale e preconcetto e valuti le nostre proposte per gli effetti sull’economia reale del paese.

Forse con Di Maio non sarà semplice trovare una sintonia come accaduto con Salvini.

Io non ho alcun pregiudizio nei confronti dei 5 Stelle e di Luigi Di Maio. Spero che dall’altra parte non ci sia. Certo, ci abbiamo messo sei mesi per attivare un tavolo di confronto con le parti sociali e i protagonisti dell’economia, ma meglio tardi che mai.

Sugli strumenti previsti per stimolare la crescita del Paese si sono concentrate le vostre critiche alla manovra economica del Governo.

Sulle stime di crescita si gioca gran parte della credibilità della manovra. Noi diciamo di fare una riflessione supplementare ora sull’analisi di impatto di questa manovra, e invece di correggerla in corso, si affronti già ora la questione. L’altro elemento determinante è che non è assolutamente il caso di farci attivare dall’Europa una procedura d’infrazione, che comporterebbe in primo luogo il blocco dei fondi di coesione, in secondo luogo un rientro forzato del debito per un ventesimo – sarebbe oltre 100 miliardi di euro, anche se fosse in 7 anni sarebbe pari a 15 miliardi l’anno. Tutto questo a fronte di una correzione della manovra che invece non è significativa e che potrebbe riportare alla calma il rapporto con l’Europa. Vediamo con grande favore che sia stato mandato al premier Giuseppe Conte di trattare con Bruxelles, perché ha così la legittimazione politica per farlo.

Come può cambiare la manovra? Voi non avete negato la vostra contrarietà alle misure su reddito di cittadinanza e pensioni, che sono il fulcro delle misure di spesa previste dal Governo.

È evidente che l’avremmo scritta diversamente. È il pilastro della crescita a essere debole. L’Europa è solo un primo capitolo, possiamo trattare sui saldi di bilancio, ma la sfida del Governo è sulla crescita del Paese.

Cosa propone Confindustria per stimolare la crescita.

Faccio un esempio. Abbiamo una crisi dell’industria delle costruzioni. Bisogna fare in fretta, perché aprire subito i cantieri significa risolvere una questione occupazionale per il settore. Se poi apriamo i cantieri quando le imprese hanno già chiuso, non serve a niente. E invece registriamo poca sensibilità su questo. Per dare un’accelerazione della crescita bisogna fare due cose: non depotenziare gli investimenti privati – e quindi non depotenziare strumenti come Industria 4.0, il superammortamento, il credito d’imposta per investimenti nel Mezzogiorno – e potenziare invece gli investimenti pubblici. Non è solo una questione di risorse, ma di tempi: se non apriamo cantieri, perché dobbiamo fare il bando di gara, poi ci sono i ricorsi, e poi magari blocchiamo le opere oppure dilazioniamo la cantierizzazione come è avvenuto con la Torino-Lione, è chiaro che così non stimoliamo la crescita.

Voi avete criticato duramente il reddito di cittadinanza. Oggi Salvini apre all’ipotesi di collegarlo maggiormente alle imprese.

Il reddito di cittadinanza è una cosa positiva per le fasce povere del paese, ma deve essere un ponte verso il lavoro e l’occupazione, non può essere un disincentivo. Sarebbe più intelligente e utile utilizzare quelle risorse detassando e decontribuendo il lavoro a tempo indeterminato, con un grande piano di inclusione dei giovani sul lavoro o con interventi sul salario di secondo livello. La nostra proposta è detassare e decontribuire per due anni i nuovi occupati a tempo indeterminato. Questo renderebbe strutturale la soluzione, senza assistenzialismi. Come lo si sta configurando oggi invece il reddito di cittadinanza ha tre rischi: il primo è che prendi il reddito di cittadinanza finché non rinunci a tre proposte di lavoro, ma come fai a ipotizzare questa struttura in un Mezzogiorno in cui la disoccupazione giovanile è al 34% e se ti arriva una proposta è già un miracolo? La seconda è la non proporzionalità: 780 euro per lavorare otto ore a settimana a fronte di uno salario netto medio di primo ingresso di 900-1000 euro, non c’è proporzione. Il terzo è che quest’operazione fa il gioco dei professionisti del sommerso e che si finisce per innalzare indirettamente i salari, perché se uno per non lavorare prende 780 euro di reddito di cittadinanza e poi si fa anche un po’ di sommerso, quanti soldi gli devi dare per venire a lavorare in un’azienda?

Arriviamo alla Tav Torino-Lione. Cosa prevede che farà il Governo?

È evidente che c’è un paradosso, se c’è un partito al Governo che vuole fare l’analisi di impatto della Tav e poi fa un corteo in cui va a parteggiare per i No Tav. Si pone un conflitto di interesse oggettivo rispetto alla valutazione. Auspico che l’analisi costi/benefici sia oggettiva, di buonsenso e nell’interesse del paese. Speriamo che lo sia, che non siano di parte. Se devi restituire 1 miliardo all’Europa per non fare niente, se perdi 50 mila posti di lavoro, se chiudono le imprese di costruzione, onestamente ci penserei due volte.

Possiamo dire che è una pregiudiziale assoluta del vostro buon rapporto con i 5 Stelle e con il Governo?

Esatto. Si dovranno chiedere il perché oltre il 65% di coloro che producono in Italia è a favore dell’opera. A Salvini e a Di Maio abbiamo chiesto un’idea di sviluppo della società italiana, sono sei mesi che parliamo solo di reddito di cittadinanza, di pensioni, di flat tax e di sicurezza, ma il nostro Paese ha complessità talmente rilevanti che ha eluso il dibattito sul suo futuro. Serve una direzione di marcia comune. Ci auguriamo che oggi sia l’inizio di un confronto serrato, corretto, leale con il Governo, che apra una stagione di ascolto, e non di snobismo rispetto ai corpi intermedi, come se fossero la causa del problema.

L’HUFFPOST

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