Roma e Bruxelles ancora lontane La Commissione Ue: tagliare lo 0,6%
Così le conseguenze economiche dei gilets jaunes incrociano quelle del populismo italiano proprio ora che il tempo stringe. Mancano ventiquattr’ore al momento in cui Giuseppe Conte, il primo ministro, dovrà mostrare le sue carte a Jean-Claude Juncker, Valdis Dombrovskis e Pierre Moscovici. Il presidente della Commissione, il vicepresidente per l’euro e il commissario agli Affari economici sono uniti da una definizione ormai precisa di ciò che serve perché l’Italia blocchi l’innesco di una procedura sui conti già il 19 dicembre: di fatto nessuna stretta ai conti rispetto a quest’anno; ma rispetto al progetto di bilancio per il 2019, il governo dovrebbe ridurre il deficit almeno dello 0,6% del prodotto lordo. In sostanza, Salvini e Di Maio dovrebbero rinunciare a 10,1 miliardi dai 16 previsti per le spese sul reddito di cittadinanza e per la (parziale) retromarcia sulla riforma pensioni.
A ieri nel tardo pomeriggio questa è la dimensione dello sforzo richiesto al governo, e per adesso non ci siamo. L’Italia non è ancora neppure vicina a queste concessioni. In alcuni ambienti della Commissione si è rimasti sorpresi per la recente disponibilità dimostrata da Conte a venire incontro a Juncker, ma la trattativa non ha fatto molti passi avanti. Quanto offerto dal premier, meno di cinque miliardi di economie sugli oltre dieci richiesti, si è scontrato dopo poco con le riserve degli economisti di Bruxelles. Questi ultimi, i cosiddetti «servizi» tecnici al di sotto del livello politico, lavorano sulla base di un lungo e minuzioso manuale di regole su come interpretare concessioni e flessibilità. E ciò che ha proposto fin qui il governo non sembra compatibile con quel manuale: non garantisce abbastanza un limite della spesa, alla lunga, la rassicurazione che molti aventi diritto non vorranno andare prima in pensione; non cambia il quadro l’offerta di far partire reddito di cittadinanze e nuove pensioni qualche mese dopo, perché a regime le spese saranno le stesse.
Così la tecnica delle regole, precise nei dettagli più minuti per supplire alla fiducia che non c’è, si sovrappone alle rivalità politiche fra Roma e Parigi. Bruxelles è nel ruolo impossibile di arbitro. Salvini e Di Maio non potevano sperare in un innesco migliore, per la loro campagna elettorale alle europee.
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