Marco Bussetti, il ministro che non c’è: ecco chi comanda davvero nella scuola italiana
La trama del potere, quello vero, porta altrove. Leggi, regolamenti e progetti passano tutti dalla stanza di Giuseppe Chinè,
50 anni, capitano di lungo corso della burocrazia governativa, avvocato
e consigliere di Stato, già collaboratore di Antonio Di Pietro alle
Infrastrutture, poi con Giulio Tremonti al ministero dell’Economia, dove
è rimasto anche con Mario Monti e infine dal 2013 alla Salute al fianco
di Beatrice Lorenzin. A giugno, Chinè è atterrato all’Istruzione come
capo di gabinetto di Bussetti e da settimane, secondo quanto rivelano
fonti del dicastero, sta curando in prima persona un progetto
della massima importanza: mettere ordine nella selva di norme che
riguardano l’università italiana per arrivare a un nuovo testo unico che
contenga anche importanti novità in materia di ordinamento degli atenei
e status giuridico dei professori.
Sugli stessi temi è impegnato anche il leghista Giuseppe Valditara,
che nel nuovo organigramma del dicastero è andato a occupare la
posizione di capo dipartimento per la formazione superiore e la ricerca.
Docente di diritto romano, classe 1961, da sempre schierato a destra,
Valditara nel 2010, quando era senatore berlusconiano, diede un
contributo importante alla riforma universitaria varata dall’allora
ministro Mariastella Gelmini.
Otto anni dopo, il professore (in aspettativa) con cattedra a Torino è
sbarcato al ministero dell’Istruzione con l’ambizione di completare il
lavoro avviato ai tempi dell’ultimo governo Berlusconi. Vengono dai suoi
uffici una serie di proposte destinate, con l’approvazione del
ministro, a diventare presto emendamenti alla legge di bilancio in
discussione in Parlamento. Massima autonomia alle università e
massima autonomia anche ai professori, a costo di metter mano al loro
status giuridico fissato per legge. Questo in estrema sintesi
il programma di lavoro di Valditara, che non a caso, in uno degli
emendamenti che ha già sottoposto agli uffici di Bussetti vuol garantire
ulteriore flessibilità ai docenti nell’organizzazione del proprio
lavoro. In altre parole, se questa proposta diventerà legge, i
professori potrebbero contrattare con il rettore, o con il preside di
facoltà, tempi e modalità del loro impegno, con la possibilità, per
esempio, di dedicarsi per un certo periodo alla sola ricerca. Questo
nuovo regime professionale aprirebbe la porta alla contrattazione
individuale dello stipendio da parte dei professori e avrebbe come
conseguenza la liberalizzazione pressoché completa delle attività extra
accademiche dei docenti, che potrebbero per esempio accettare consulenze
e incarichi vari per conto di enti pubblici e aziende private.
Le norme oggi in vigore già prevedono la possibilità per i professori di
lavorare fuori dall’università. Ci sono però limitazioni che verrebbero
in gran parte a cadere se passasse l’emendamento studiato da Valditara.
In passato la violazione delle regole sulle consulenze esterne
(articolo 6 comma 10 della legge Gelmini) ha portato a interventi della
Corte dei conti con indagini della magistratura.
Ha fatto scalpore, nel maggio scorso, un’operazione della Guardia di
finanza che ha messo sotto inchiesta 411 docenti delle facoltà di
ingegneria, architettura, economia e altre ancora di numerosi atenei
italiani. Al centro delle accuse era proprio il doppio lavoro dei
cattedratici. «Non capisco perché, nel rispetto degli obblighi
didattici, a un ingegnere che insegna in un politecnico non possa essere
consentito di lavorare anche per un’azienda», dice Valditara. «Al
limite una quota del compenso per la consulenza esterna potrebbe andare
all’università», aggiunge il capo dipartimento del ministero.
In teoria, una riforma di questo tipo dovrebbe incontrare forti
resistenze tra i Cinque Stelle, che in materia universitaria hanno
posizioni molto distanti da quelle espresse nei progetti di emendamento
ora all’attenzione di Bussetti. «Il ministro ha fin qui dimostrato
grande apertura su queste proposte», sostiene Valditara, che si è già
mosso anche in Parlamento. Il compito di sensibilizzare gli alleati di
governo è stato affidato al senatore Mario Pittoni,
responsabile scuola della Lega, nonché presidente della commissione
cultura di palazzo Madama. Vedremo se il pressing leghista riuscirà a
vincere le resistenze.
vedi anche:
Il responsabile scuola della Lega ha la terza media. Ed è capo della Commissione Istruzione
Il senatore Mario Pittoni ha scritto per il Carroccio la riforma che dovrebbe archiviare la Buona scuola. Ma nel curriculum, scritto a penna, non ha mai chiarito quale fosse il suo titolo di studio. E ora spiega: “Quello che c’è da sapere non si impara sui polverosi libri”
Intanto, tra riforme vere e presunte, la confusione sulla direzione di marcia è massima. A novembre Salvini, davanti a una platea di militanti, aveva promesso l’abolizione del valore legale della laurea, un vecchio pallino del Carroccio. A poche ore di distanza è toccato a Bussetti garantire che non se ne parla, almeno per il momento. A ottobre invece è stato rapidamente corretto un comunicato notturno del Consiglio dei ministri, che annunciava la fine del test d’ingresso per Medicina. Non è all’ordine del giorno, assicurò il ministro, al massimo aumenteranno i posti in facoltà. Poi ci sono state le polemiche sulla Storia nei programmi scolastici, sull’aumento di soli 14 euro al mese agli insegnanti, perfino sull’inatteso ritorno del grembiule, che Bussetti vedrebbe bene almeno fino alle Medie.
Dichiarazioni a parte, che spesso lasciano il tempo che trovano, anche le nuove norme sfornate dal ministero hanno finito in qualche caso per aumentare la sensazione di caos. L’esempio principe è forse lo stravolgimento dell’esame di maturità. Ai ragazzi di quinta superiore che da due anni si stavano preparando secondo il modello attuale, e ai loro poveri prof, la scossa è arrivata a ottobre con una norma infilata nel già affollatissimo decreto milleproroghe. Non proprio la cornice migliore per introdurre una svolta di tale importanza. Si cambia, quindi. E allora niente più test Invalsi, fino a quest’anno obbligatori per essere ammessi all’esame. Ma, soprattutto, niente più terza prova, mentre il secondo scritto verrà articolato diversamente. Al liceo classico, per esempio, potremmo avere, insieme, un test di greco e uno di latino. Le circolari ministeriali che illustrano contenuti e modalità di valutazione della nuova maturità sono infine arrivate, ma professori e studenti, a grande maggioranza, restano perplessi di fronte a una riforma introdotta in gran fretta.
È solo l’inizio. Il governo ha in cantiere una raffica di novità, che messe insieme disegnano il percorso di una vera riforma del sistema scuola. Il fatto è che questi interventi, invece di essere inseriti in un testo organico, sono andati a gonfiare il gran fiume degli emendamenti alla legge di bilancio per il 2019, che andrà approvata entro la fine dell’anno. Alcuni cambiamenti decisivi, come i nuovi percorsi di ingresso e di selezione per i docenti delle scuole medie e superiori, per esempio, passeranno soltanto dal capitolo intitolato “Misure di razionalizzazione della spesa pubblica” nel bilancio di Stato. Non sembra proprio il modo migliore di favorire il dibattito su temi di grande importanza, hanno fatto notare diversi parlamentari dell’opposizione durante l’audizione del ministro Bussetti alla commissione Cultura della Camera.
Alla voce tagli, possono essere iscritti gran parte dei provvedimenti del governo. È il caso della riduzione a un solo anno, con conseguenti risparmi per milioni di euro, del tirocinio pratico e formativo degli insegnanti finora articolato su tre anni. Ancora una volta, si sforbicia, anziché investire sull’istruzione. Si riduce della metà anche l’alternanza scuola-lavoro. Era un’attività contestata da un’ ampia fetta di professori e studenti, come viene ricordato nel contratto di governo tra Lega e Cinque Stelle. Adesso però, con meno ore a disposizione, diventerà ancora più difficile migliorare la collaborazione con le aziende. E spuntano norme sulla scuola perfino nel cosiddetto decreto Genova, che stanzia 4,5 milioni di euro per la progettazione dei “poli per l’infanzia”, il nuovo sistema integrato di asili e materne a cui andranno oltre 300 milioni di euro di risorse. Sull’edilizia scolastica, altro capitolo di grande rilievo, Bussetti ha invece imboccato un sentiero a dir poco tortuoso. È stata infatti cancellata la struttura tecnica al servizio di amministratori locali e presidi, che faceva capo alla presidenza del Consiglio. Una nuova “Centrale per la progettazione delle opere pubbliche” ne erediterà risorse e progetti, ma ancora non si sa quando diventerà davvero operativa. È il governo del cambiamento: si butta il vecchio. Il nuovo arriverà. Forse.
L’ESPRESSO
Pages: 1 2