Deficit giù al 2,04%. Conte cede all’Ue. L’intesa è più vicina

Ma soprattutto servirà un intenso lavoro sul piano politico. Da questo pomeriggio e fino a domani i leader Ue si riuniranno per il Consiglio europeo: Juncker avvierà una serie di contatti per «tastare gli umori» tra i governi e vedere che margini ci sono per archiviare la procedura contro l’Italia. Lo stesso farà Giuseppe Conte, alla ricerca di un appoggio tre le altre capitali, facendo leva anche sui recenti annunci di Emmanuel Macron e sul rischio che in Italia cresca il risentimento anti-europeo per la presunta disparità di trattamento. Già oggi è possibile un bilaterale con l’olandese Mark Rutte, forse anche con il belga Charles Michel.

La carta francese

Ieri Pierre Moscovici ha spiegato che le due vicende sono molto diverse e che al momento una procedura (per deficit) per la Francia non è possibile. Innanzitutto perché la valutazione sui conti di Parigi andrà fatta soltanto in primavera e poi perché «uno sforamento del 3% – ha ricordato il commissario – è fattibile. A patto che sia limitato, temporaneo ed eccezionale». Moscovici ha sottolineato che per aprire una procedura il deficit dovrebbe superare quota 3,5% oppure restare oltre la soglia del 3% per due anni consecutivi: il governo francese ha invece assicurato che non andrà oltre il 3,4% e comunque nel 2020 tornerà sotto l’asticella. «Inizio a essere stufo di due pesi e due misure» ha sbottato ieri Matto Salvini.

Otto miliardi in meno

Il 2,04% sventolato ieri dal premier ricalca simbolicamente quel 2,4% che sembrava essere il marchio di fabbrica della Manovra del Popolo. Uno zero in più, quasi a voler indurre in un’illusione ottica il Popolo. Ma visto che si parla di numeri e di «zerovirgolazero», andrebbe ricordato che il deficit di partenza indicato nel documento programmatico di bilancio era del 2,48%: il governo lo aveva infatti arrotondato per difetto al 2,4% (secondo le regole matematiche sarebbe stato più corretto presentarlo come 2,5%). Dunque il taglio effettivo proposto ieri dal governo è pari allo 0,44% del Pil, circa otto miliardi di euro. Quel che conta ai fini dei parametri Ue, però, è l’impatto in termini strutturali: per rientrare nella cornice delle regole, la Commissione chiedeva un intervento più consistente, lo 0,7% del Pil, circa 12 miliardi. Conte non ha quantificato il reale impatto della retromarcia sul deficit strutturale, ma ha assicurato che quel parametro «calerà». Il confronto di questi giorni insisterà proprio sull’entità effettiva di questo aggiustamento.

Le cifre sulla crescita

Tutti questi conti, però, sono stati fatti sulla base delle previsioni economiche del governo e non su quelle della Commissione. Nel suo progetto di bilancio, l’Italia prevede una stima di crescita dell’1,5% del Pil nel 2019 e Conte ieri ha detto che l’obiettivo è confermato. Per l’Ue, invece, non si andrà oltre l’1,2%. Domani qualche indicazione dovrebbe arrivare dalle stime che saranno diffuse dalla Banca d’Italia e probabilmente saranno ancora meno ottimistiche. È chiaro che una crescita più bassa fa inevitabilmente aumentare il rapporto deficit-Pil: la Commissione stessa prevedeva un disavanzo al 2,9% per il prossimo anno, anziché il 2,4% messo a bilancio da Roma.

LA STAMPA

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