Populisti all’angolo
di ENRICO CISNETTO
Tanto tuonò che non piovve. Per ora. A furia di minimizzare l’impatto di Bruxelles sulla legge di bilancio, il governo è arrivato nel peggiore dei modi all’incontro decisivo con la Commissione europea, ieri, per trovare una mediazione che eviti la minacciata procedura d’infrazione. Tuttavia la pressione esercitata dal presidente della Repubblica – culminata nel pranzo al Quirinale che ha preceduto la partenza di Conte per Bruxelles e che si è svolto non senza maldipancia, come dimostra l’ennesima assenza di Salvini al cospetto di Mattarella – e i messaggi suadenti, diretti e indiretti, del presidente della Bce, Mario Draghi, hanno creato le condizioni perché si tentasse un accordo in extremis, concedendo alla Ue di ridurre dal 2,4% al 2,04% del pil il deficit previsto per il 2019. Juncker ha accolto il ridimensionamento della manovra come un positivo segno di buona volontà. Ma non si è lasciato andare più di tanto. La riunione di ieri va dunque considerata interlocutoria. Positiva perché ha evitato la rottura, ma bisognosa di ulteriori fasi di negoziazione – a questo punto a oltranza, considerati i tempi strettissimi – su cui peseranno due cose: l’atteggiamento tenuto fin qui dal governo italiano, e gli interessi politici degli altri paesi.
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