Lui in ferie, i suoi in rosso

Alessandro Sallusti

Alessandro Di Battista, leader grillino in esilio volontario, conferma le difficoltà svelate ieri da questo Giornale – in cui si trova l’azienda di famiglia di cui è socio al trenta per cento, un’azienda in forte ritardo con i pagamenti ai dipendenti e piena di debiti con fornitori, banche e agenzie delle entrate.

Da bullo qual è, Di Battista però va oltre e invece che scusarsi con i creditori insulta e minaccia noi e – siccome il senso del ridicolo non ha limiti – Silvio Berlusconi, che con questa storia non c’entra assolutamente nulla. «Fermatevi o vi faccio un mazzo tanto», dice in sintesi Di Battista. Il quale, toccato sul vivo, dimentica le sue parole d’ordine sputate in faccia negli ultimi anni a chiunque gli passasse a tiro, politico e no: «Trasparenza e onestà, onestà e trasparenza».

Una cosa la dice giusta il bullo: la mia è una delle tante piccole imprese strangolate dalla crisi e dalle tasse, e ci invita a dare la stessa pubblicità a tutte le altre, forse per dimostrare che la sua vicenda non è poi così eccezionale.

Probabilmente il ragazzo è distratto, perché questo Giornale da anni dedica pagine e pagine alle storie di piccoli imprenditori in difficoltà e decine sono stati gli articoli con appelli ai politici a fare qualcosa per salvare questa gente. Evidentemente non li ha letti, né li avrebbe condivisi, altrimenti lui e il suo partito non sosterrebbero una manovra economica, a partire dal reddito di cittadinanza, che i piccoli imprenditori li prende a calci nel sedere.

Non siamo noi che uccidiamo imprese e lavoro, ma lui e le sue politiche economiche del cavolo, a meno che lo scopo ultimo del reddito di cittadinanza non fosse quello di fare pagare a noi i suoi dipendenti (e magari anche quelli di papà Di Maio), da mesi senza stipendio.

C’è un’altra cosa. Quando un’azienda è in crisi, il buon padrone prima di sospendere i pagamenti raddoppia gli sforzi e i sacrifici, non come lui che se ne sta in giro per il mondo in posti esotici a giocare a fare il giornalista e a pontificare di morale e politica.

Affari suoi, comunque. Un leader politico non ha privacy né può lo ha sostenuto lui distinguere tra morale pubblica e privata. Per cui, invece di minacciare e ricattare i giornali, si rimbocchi le maniche e paghi, in quota parte, i suoi debiti a chi lavora, alle odiate banche e al fisco. Con quello che ha guadagnato in cinque anni da parlamentare (circa 700mila euro) i soldi non dovrebbero mancargli.

IL GIORNALE

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