Di Maio e Di Battista, i due leader diversi che giocano a fare come Coppi e Bartali
«Dibba», sommerso dagli applausi, aveva abbracciato «Luigino», che aveva avuto un’accoglienza più fredda. Ma il corso della storia non sarebbe cambiato. Di Maio nel Palazzo e Di Battista nelle piazze, Di Maio al governo e Di Battista in giro per il mondo, come quei rari gialli in cui l’assassino effettivamente coincide col maggiordomo.
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La situazione politica
E oggi, all’alba del 2019, ora che il primo ha portato a casa la sua prima legge di bilancio in maggioranza con la Lega e che il secondo è tornato in Italia, i due tentano di arginare le voci sul dualismo mostrandosi uniti a Capodanno come Coppi e Bartali nella foto in cui si passano di mano una bottiglia d’acqua durante il Tour del 1952. Difficile, infatti, che la pace duri più di un’istantanea. Come tutte le grandi e piccole storie politiche (e non) originate da un dualismo, come tutte le volte che una poltrona è per due, impossibile escludere dal mazzo della cartomante la carta della luna nera, quella che trasforma i dioscuri in parenti serpenti, in fratelli coltelli, in Caino e Abele.
Certo, come ripetono nei M5S, «quello tra Di Maio e Di Battista non è un vero duello perché i due si vogliono davvero bene». Ma se ne volevano e pure tanto, di bene, Massimo D’Alema e Walter Veltroni, protagonisti del più longevo dualismo politico del centrosinistra italiano, durato oltre un quarto di secolo. Famiglie legatissime, rispettivi figli che si rivolgevano all’altro chiamandolo «zio Massimo» e «zio Walter», vacanze insieme, foto di gruppo, eppure a Roma — che fosse nelle stanze del partito o a Palazzo Chigi — quando uno era in salita l’altro era in discesa, non c’era scampo.
Perché l’antica massima secondo cui «i nemici sono dentro il partito e gli avversari fuori», gettonatissima nei partiti della Prima Repubblica, in fondo fa pochi sconti. È così la vita, prima ancora della politica. E il fatto che oggi Di Maio e Di Battista brindino assieme al nuovo anno trovando una posizione pubblica comune soltanto su una vecchia hit del loro passato remoto — «Basta privilegi agli onorevoli» — la dice lunga sulle possibili ruggini che potrebbero tornare presto a corrodere il loro rapporto.
D’altronde, è storia tutto sommato recente, mentre Di Maio componeva la tela del governo dopo il voto del 4 marzo, cercando consensi in Parlamento a destra e a manca, Di Battista rompeva il silenzio ricordando che Berlusconi «per noi è il male assoluto» e, a seguire, «che Salvini sembrava Dudù».
Un anno prima, quando erano venuti fuori i primi boatos sui contatti tra M5S e Lega, che avrebbero trovato conferma nella storia futura più che nella cronaca, di fronte alle negazioni di Di Maio il papà di Di Battista s’era lasciato andare: «Se fosse vero, si tratterebbe di un piccolo testa di c…o travolto dagli eventi».
E questo era e questo potrebbe tornare a essere tra «Luigino» e «Dibba». D’altronde, quando il leader può essere uno e uno solo e i possibili numeri uno sono due, a poco servono le alchimie, le combinazioni, le staffette. Possono perdere insieme ma non vincere entrambi. E «il pareggio — come diceva Pelè — non esiste».
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