Il sondaggio: l’economia va male per 3 italiani su 4
Quali sono le priorità del Paese? Invitati a indicare le principali aree di intervento, tre italiani su quattro indicano spontaneamente il lavoro e l’economia (75%, in flessione del 5% rispetto a un anno fa), seguiti da welfare (38%, + 9%) e immigrazione (37%, +5%), quindi da funzionamento delle istituzioni (33%) e sicurezza (24%). Chiudono la graduatoria, assai distanziati, ambiente (8%) e mobilità (5%).
Ma il quadro delle priorità nella propria zona di residenza è assai diverso: lavoro ed economia vengono citati solo dal 42% (33% in meno dell’ambito nazionale), poi mobilità e infrastrutture (39%), ambiente (30%), welfare (26%), sicurezza (24%), funzionamento delle istituzioni locali (15%) e tema migratorio (13%), all’ultimo posto. Appare evidente lo strabismo con cui si guardano i temi nazionali e quelli locali: ciò che preoccupa a livello generale, inquieta molto meno nella zona in cui si vive e viceversa. A questo proposito fanno riflettere i dati relativi ad ambiente e mobilità, strettamente legati alla qualità della vita locale ma pressoché ignorati in ambito nazionale, per non parlare del tema dei migranti, di sicuro il tema più mediatizzato del 2018, durante la campagna elettorale e nei primi mesi di attività di governo (vicenda Diciotti, chiusura porti, decreto sicurezza, ecc.): sembra un’emergenza nazionale, mentre non lo è nella zona di residenza, dove lo straniero viene associato alla badante, ai bambini che frequentano le scuole con i propri figli o nipoti oppure ad altre figure rassicuranti. D’altra parte, secondo l’annuale ricerca Ipsos sulle percezioni dei cittadini, gli stranieri rappresenterebbero il 28% dei residenti in Italia (contro il 10% reale) e secondo Eurobarometro solo il 16% degli italiani ritiene che gli stranieri regolarmente presenti nel nostro Paese siano più numerosi degli irregolari, mentre il 47% è erroneamente convinto che questi ultimi prevalgano sui regolari e il 25% che i due gruppi si equivalgano.
E a proposito di qualità della vita nella propria zona di residenza, nel complesso oltre due italiani su tre (68%) esprimono un giudizio positivo, mentre il 29% è di parere opposto, sia pure in presenza di un divario territoriale molto evidente, dato che nelle regioni del Nordest l’indice è pari a 70, nel Nordovest e del Centronord a 67, mentre nel Centrosud e nel Sud e isole scende rispettivamente a 47 e 51.
Pur prevalendo le valutazioni positive
quasi ovunque, solo il 10% è del parere che la qualità della vita sia
migliorata rispetto al passato, per il 38% è peggiorata e quasi
uno su due (47%) ritiene che non sia cambiato nulla. Prevale la
nostalgia del passato, la «retrotopia» come è stata definita nel saggio
postumo di Zygmunt Bauman. Una nostalgia che prescinde dalla situazione
oggettiva, dato che il presente, pur in presenza di diseguaglianze
crescenti, è decisamente migliore del passato quanto a condizioni
economiche, durata della vita, progressi scientifici e tecnologici,
sicurezza (gli omicidi sono meno della metà di vent’anni fa, il
terrorismo politico è stato sconfitto, la malavita organizzata è più
debole). Eppure, siamo convinti che il meglio sia alle nostre spalle,
perché il futuro ci preoccupa e l’ascensore sociale si è arrestato,
rendendo incerte le prospettive delle generazioni future.
Ai dati positivi sulla qualità della vita locale fa da contraltare il giudizio severo sull’economia dell’Italia, solo il 18% infatti esprime una valutazione positiva, mentre il 75% ne dà un voto negativo. Vi sono Paesi nei quali alla stessa domanda la popolazione residente si mostra più ottimista, e non si tratta solo delle maggiori economie mondiali, ma di Paesi i cui fondamentali economici e il livello di ricchezza sono assai distanti da quelli italiani. Inoltre, solamente il 2% ritiene che la ripresa economica sia evidente, il 35% coglie le prime avvisaglie, mentre quasi un italiano su due (47%) non intravvede alcun segnale di crescita.
Riguardo alle prospettive economiche personali, prevalgono di poco coloro che si aspettano un miglioramento (25%), su quanti prevedono un peggioramento (22%) e il 45% pensa che la propria situazione rimarrà immutata.
L’analisi del clima sociale ci offre il ritratto di un Paese in bilico tra speranza e disillusione, e conferma la divaricazione profonda tra la dimensione locale e quella nazionale: il legame con il territorio e il rapporto diretto con la realtà quotidiana restituiscono un quadro nel complesso positivo, sebbene disomogeneo. La realtà nazionale viceversa è caratterizzata dall’attitudine ad amplificare la portata di alcuni problemi e a svalutare le condizioni di un Paese nel quale permangono sicuramente diverse criticità, ma rappresenta pur sempre la seconda realtà manifatturiera d’Europa, anche se solo una minoranza ne è a conoscenza. Alla base di questo atteggiamento svalutativo c’è sicuramente la propensione a raccontare il Paese quasi esclusivamente nei suoi aspetti più deteriori sebbene ci siano anche molti aspetti positivi che dovrebbero inorgoglirci, a prescindere da chi si è succeduto al governo. Basterebbe riflettere sui «10 selfie» dell’Italia che la fondazione Symbola aggiorna annualmente: il Paese si colloca nei primi tre posti al mondo, con 905 prodotti sui 5.206 censiti nel commercio mondiale, per saldo commerciale con l’estero; primeggia nella green economy, nell’economia circolare e in interi settori, dal farmaceutico al make up, dalla moda alla cultura. Per non parlare del capitale sociale, ricchezza del nostro Paese: volontariato, mondi associativi, donazioni a favore di cause benefiche. Ma il racconto negativo del Paese sovrasta il bisogno di specchiarsi nell’Italia che funziona. E in epoca di sovranismo, appare davvero paradossale non riconoscere i meriti del Paese.
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