Tasse, le promesse mancate (dal governo)

È come se, spento l’ardore elettorale e gli entusiasmi di un voto espresso quando l’economia ancora cresceva (il Pil era salito dello 0,3 per cento nel trimestre in cui abbiamo votato, mentre si è contratto dello 0,1 per cento nell’ultimo trimestre dell’anno) gli italiani fossero tornati a fare i conti con la realtà. Una realtà in cui, dopo oltre tre anni di ripresa, l’economia è tornata in recessione e non c’è quasi nulla nella legge di bilancio che ci aiuti ad uscirne.

Più lavoro vuol dire innanzitutto meno tasse sul lavoro.

Il taglio della pressione fiscale sembrava essere un obiettivo e una promessa comune a tutte le forze politiche prima del 4 marzo. Ma nella manovra approvata dalla strana maggioranza che sostiene il governo, di tagli ce ne sono ben pochi. Al contrario, tranne che per un gruppetto di partite Iva, purtroppo pressoché irrilevanti per l’economia nel suo complesso, la pressione fiscale quest’anno aumenterà.

L’Ufficio studi del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti (persone che di tasse ne capiscono) ha fatto un primo esame della Legge di bilancio e stima un saldo netto di 12,9 miliardi di maggiori imposte nel triennio 2019-2021. Un’analisi che è utile riportare: «7,3 miliardi di maggiori entrate arriveranno, secondo i commercialisti, dai contribuenti non in regola con il Fisco che utilizzeranno una delle numerose forme di condono previste; 12,4 miliardi saranno invece le vere e proprie maggiori tasse applicate su banche e assicurazioni (5,6 miliardi), sulle imprese in generale (2,4 miliardi), sul settore del gioco d’azzardo (2,1 miliardi), sui grandi gruppi dell’economia digitale (1,3 miliardi), sui consumatori (0,6 miliardi) e sugli enti del no profit (0,4 miliardi).

Il taglio delle tasse ammonta solo a 6,8 miliardi concentrati appunto sulle partite Iva individuali (- 4,8 miliardi) e sul settore immobiliare (- 1,8 miliardi). Alcune tasse possono piacere più di altre ma il loro effetto non è ovvio. Quelle sul gioco d’azzardo spesso si limitano a provocare uno spostamento del gioco verso l’economia sommersa; le tasse sulle banche sono in genere traslate ai consumatori attraverso un aumento del costo dei servizi bancari. Ma c’é un aspetto ancor più preoccupante. La legge di bilancio ha rimosso il blocco sulle tasse locali che per un triennio aveva impedito a Comuni e Regioni di aumentare le aliquote Irap, Imu, Tasi e le addizionali Irpef; consentirà anche aumenti fino al 50% dell’imposta comunale sulla pubblicità.

Ci aspettano quindi più tasse locali. È la spia più evidente di quanto taglio della pressione fiscale, crescita e lavoro siano priorità sfumate per il governo. Ed è un errore. Che gli italiani, come mostra il sondaggio, stanno cogliendo.

CORRIERE.IT

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