Le mani dei politici che gravano sull’Inps

Ma perché servono? Primo per evitare la tirannia della maggioranza, cioè per evitare che il 51 per cento degli elettori possa ciò che vuole «contro» l’altro 49 per cento. Secondo: i governi tendono ad essere interessati solo al breve periodo e alle prossime elezioni, nelle quali le generazioni future non votano. Ecco dove entra in gioco l’Inps. Le nostre pensioni non sono pagate da un fondo cui affluiscono i nostri contributi versati nel periodo della vita in cui lavoravamo. Quei contributi sono stati usati per pagare le pensioni dei nostri genitori. Analogamente, le nostre pensioni saranno versate da chi lavorerà quando noi lasceremo il nostro lavoro, e cosi via.

È per questo che consentire alle persone di andare in pensione prima, mentre l’aspettativa di vita si allunga, è un grande regalo agli elettori di oggi a scapito di quelli di domani. I lavoratori del futuro dovranno subire sui loro salari trattenute più elevate di quelle che si pagano oggi. Questo ridurrà i salari netti, aumenterà il costo del lavoro e quindi farà diminuire l’occupazione.

Ma la politica ha scarso interesse agli effetti inter-generazionali e a quelli che colpiranno l’economia tra dieci o vent’anni. La politica è interessata agli elettori di oggi, e oggi il votante medio è un cittadino di più di 50 anni, che già pensa alla pensione. Chi domani pagherà la sua pensione oggi non vota perché o non è ancora nato, oppure è ancora minorenne. I sindacati, cui per decenni è stata affidata la gestione dell’Inps, sono ormai organizzazioni dei pensionati, non dei lavoratori. La maggioranza dei loro iscritti sono infatti lavoratori in pensione e gli altri sono comunque anziani prossimi alla pensione. Ecco perché i sindacati sono così interessati a gestire l’Inps.

Affidare l’istituto a dei tecnici che siano indipendenti dalla politica di tutti i giorni è fondamentale. È chiaro o che la politica pensionistica va decisa in Parlamento, ma un controllo tecnico indipendente essenziale perché i cittadini di domani non siano truffati sottobanco dagli elettori di oggi. L’indipendenza dell’Inps può essere ancora più importante di quella della banche centrali, che è ormai un dato di fatto indiscusso, se non altro per essere segnaletico della voglia della politica di fare invasioni di campo. In Italia il divorzio tra Banca d’Italia e Tesoro del 1981, che sancì l’indipendenza della nostra banca centrale, servì a frenare un’inflazione che aveva superato il 20% e a svelare ai cittadini le conseguenze del debito pubblico, prima di allora nascosto dagli introiti fiscali derivanti dall’inflazione.

Immaginate una Bce (Banca centrale europea) guidata direttamente da un ministro tedesco come Wolfgang Schäuble o da un ministro greco come Gianis Varoufakis? O la politica monetaria americana decisa ogni mattina da un cinguettio furente di Trump? Gli obiettivi di una banca centrale li decide il Parlamento, ma il giorno per giorno della politica monetaria non può essere deciso con i voti di fiducia.

Naturalmente burocrati indipendenti non devono diventare loro stessi i «dittatori» della politica, cioè persone che, direttamente o indirettamente, applichino la legge come vogliono e magari contribuiscano a scrivere le leggi a loro piacimento. Ci riferiamo a quei burocrati che ostacolano il cambiamento, specialmente quello che li priva di qualche privilegio. La vera democrazia non è né quella dei burocrati che scrivono le leggi, nè quella del governo dittatore che controlla tutto giorno per giorno senza alcun contrappeso. Provate a pensare a un governo che controlli anche l’Istat facendole produrre dati fasulli. Non è fantascienza: è accaduto per anni e nell’Argentina dei governi populisti.

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