Salvini e Di Maio, i litigi non faranno cadere il governo
di Francesco Verderami
Squadra che litiga non si cambia.
Per sei mesi lo schema di gioco tra Cinquestelle e Lega ha retto,
perché sull’asse Di Maio-Salvini i partiti di maggioranza hanno
cannibalizzato l’attenzione dei media e le forze di opposizione.
Dividendosi quotidianamente su qualsiasi argomento si sono presi per intero il campo,
annichilendo finora gli avversari e costringendoli a schierarsi. È un
pressing che il capo del Movimento e il segretario del Carroccio
continuano a produrre — sulla Tav, le trivelle, la liberalizzazione
della cannabis — immaginando di spartirsi il consenso alle Europee e
consolidare il nuovo assetto bipolare.
L’attivismo di Conte non inganni.
L’immagine di un premier che acquisisce autonomia e ruolo rispetto agli
azionisti di maggioranza del governo è solo un effetto ottico: è il
frutto della narrazione costruita a palazzo Chigi nei giorni della
mediazione con Bruxelles sulla Finanziaria, ed è dettata dalla
contingenza politica. Siccome in questa fase nessuno può permettersi una
crisi, al presidente del Consiglio è garantita una libertà di manovra
che è stata sfruttata per il decreto salva-Carige (subìto da Di Maio) e
per la missione salva-migranti (subìta da Salvini).
Era nel conto, insomma, ed era stata peraltro preannunciata.
Ma non c’è dubbio che questo spazio si assottiglierà fino a scomparire
dopo il voto di maggio, quando M5S e Lega verificheranno i nuovi
rapporti di forza e decideranno che fare del loro «contratto». Per
tentare di cristallizzare l’attuale assetto di potere, dentro e fuori
l’esecutivo c’è chi spinge invece per un rapido rimpasto, così da
rafforzare Conte e renderlo «intoccabile» dopo le urne. L’operazione è
evidente e il premier sarebbe anche tentato dal sostenerla. Timidamente
ci ha persino provato, quando non ha escluso la possibilità di alcuni
cambi nella squadra. Ma la fermezza con cui Di Maio e Salvini (per
contrapposte ragioni) hanno scartato l’opzione, lo ha indotto a
ritrarsi. Il derby lo giocano i vice premier, e il leader grillino ha
voluto ribadirlo per smentire indirettamente l’ipotesi di venir
sostituito da Conte: perciò ha parlato di una «leale competizione» con
il titolare dell’Interno. Fino a quando potranno andare avanti «insieme e
contro», è un’altra storia. Perché la tensione fra i due gruppi sta
arrivando a livelli di guardia che i leader faticano a contenere. Anche
nel governo. Dove si nota la crescente freddezza con cui Giorgetti
gestisce i rapporti con i cinquestelle. «Sono come bambini viziati», ha
confidato nei giorni caldi della manovra: «Se non sbattono la testa
contro il muro, non ci credono».
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