Il gioco di Salvini: si lamenta ma è complice dei grillini
Gli echi delle confessioni degli uomini del Carroccio ormai esprimono un unico mood: non ne possono più dei 5stelle. Per Giancarlo Giorgetti sono dei «fuori di testa».
Per Dario Galli «andrebbero mandati a casa». Massimo Garavaglia, che è un tipo più calmo, li tollera a malapena. Tant’è che lo stesso Matteo Salvini già più di un mese fa ammetteva: «Sono l’unico che difende l’alleanza con i grillini, i miei l’avrebbero rotta da un pezzo». Solo che le riserve, le polemiche, i distinguo non salvano l’anima. Tutt’altro. Se il governo è partito con il piede sbagliato per affrontare una recessione economica che ormai è alle porte, la responsabilità non è solo di chi ha tirato fuori dal cilindro, nel momento meno opportuno, il decreto dignità, o una manovra con una forte impostazione «assistenziale» e non espansiva, o un atteggiamento verso le grandi opere come la Tav da oscurantismo medievale; ma anche di chi l’ha assecondato, di chi non si è opposto per difendere un governo che assume sempre più le sembianze di un sepolcro imbiancato, in cui l’ipocrisia del potere, rappresentata dal cosiddetto «contratto», nasconde, e sacrifica, differenze programmatiche e culturali di fondo. Un’ipocrisia che rischia di pagare, soprattutto, il Paese.
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