Il M5S insiste sul “no” alla Torino-Lione, ma ora Di Battista apre al voto popolare

Il cruccio degli strateghi del M5S, però, è «come uscirne, da situazioni come questa». L’analisi costi-benefici aiuterà a prendere una posizione pubblica da opporre alla Lega. Ci contano Di Maio e i suoi uomini più fedeli, come il ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli: «Bella e civile la piazza di Torino per il Tav – scrive su Facebook -. Erano 20 mila persone? Noi, come governo, dobbiamo stare attenti ai numeri perché poi quell’opera dovrebbero pagarla in 60 milioni». Di Maio è cosciente, però, che i numeri della relazione economica sulla Tav potrebbero non bastare a convincere gli alleati. Nel quartier generale della Lega, infatti, circolerebbe un report alternativo, tutt’altro che rassicurante sui costi di un eventuale No alla Torino-Lione. Per il ripristino delle gallerie già scavate, per gli investimenti alternativi da garantire al territorio e, soprattutto, per i finanziamenti già bruciati che Francia e Unione europea potrebbero chiedere indietro. I colloqui con Parigi e Bruxelles, che verranno avviati a fine mese, saranno decisivi. Così come il tentativo di trovare un punto di caduta con gli alleati. Ed è per questo che il presidente del Consiglio Giuseppe Conte starebbe pensando alla necessità di indire un vertice, la prossima settimana, per iniziare a smussare gli angoli.

Ancor più difficili saranno i tentativi di mediazione di Di Maio all’interno del suo partito. È un No categorico quello espresso dalla corrente ortodossa, guidata dal presidente della Camera Roberto Fico e spalleggiata da Beppe Grillo e dai Cinque stelle torinesi. Il fondatore, ancora una volta, si mette di traverso all’ex “favorito” di un tempo, Di Maio, e dal suo blog torna a tuonare contro la Tav, per la quale «ci guadagnerà solo chi la realizza». «Dal piccolo artigiano al medio-industriale, i nuovi borghesi trovano un vessillo assolutamente futuristico sotto il quale riunirsi. – prosegue Grillo -. Ma confondono il progresso con lo sviluppo. Il progresso implica il miglioramento della qualità della vita. Qualcosa che nulla c’entra con la Tav».

Nel mezzo, la terza sfumatura, quella di Alessandro Di Battista, che libero dalle responsabilità di governo, prima taglia la testa a ogni negoziazione – «La Tav non si deve fare e non si farà» – poi, apre all’ipotesi di rifugiarsi nel voto referendario, come chiesto dai promotori del Sì alla Torino-Lione. Perché, dice, «io non sarò mai contrario a un referendum». È lui l’uomo chiamato ad aprire la prima breccia nella base del Movimento per indicare l’unica via d’uscita, se con gli alleati leghisti si arriverà all’impasse. Anche questa soluzione, però, non sarà indolore. «Non possiamo chiedere un referendum su una nostra battaglia per noi identitaria come il No alla Tav»: è il pensiero dell’ala ortodossa di Fico. E dunque le tre sfumature, con tre pesi diversi, rischiano comunque vada di creare spaccature profonde. Nonostante siano tutte mosse dal terrore di dover battere in ritirata ancora una volta. Come già accaduto per l’Ilva di Taranto, come per il gasdotto Tap. E di doverne rendere conto, poi, ai propri elettori.

LA STAMPA

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