Attratti dall’abisso
La Brexit sarà la loro rovina. Lo sanno, eppure sono attratti dall’abisso. Aveva ragione Charles de Gaulle: i britannici saranno europei, ma sono strambi. Meglio per noi e per loro che restino fuori, ammoniva il saggio generale, benché avesse liberato la sua Francia, grazie anche agli incomprensibili abitanti dell’isola al di là della Manica. Sempre ciechi e testardi, batterono i crucchi, perché non si resero conto d’aver perduto. Facciamo confusione chiamandoli tutti inglesi, senza distinguere con gallesi, e scozzesi. Gli anglofoni di casa nostra scimmiottano l’accento inarrivabile di Oxford, ma non si diventa british comprando un paio di scarpe o sfoggiando la cravatta di Cambridge. E loro non sono diventati ‘continentali’ perché hanno abbandonato pollici e scellini. Il Decimal Day, il 15 febbraio del 1971, al di là delle bianche scogliere di Dover è considerato ancora il giorno della disfatta. La resa all’invasore, come se Hitler avesse innalzato la croce uncinata a Piccadilly Circus. Per loro la Ue è un’invenzione di Hitler o di Napoleone. Perché non tentare una cura disperata, un elettrochoc storico: se li lasciamo tornare al passato, dove una yard è uguale a 0,9144 metri, un pound, una libbra, a 453,582237 grammi, potremmo bere di nuovo tutti insieme una pinta di brown ale, l’amata birra scura, evitando la dorata Guinness irlandese, cioè un mezzo litro. Sorry, uno 0,56826125 di un litro.
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