Brexit, Theresa May si salva: il Parlamento britannico vota la fiducia
Il punto è che May non ha un Piano B dopo che Boris Johnson & Co. le hanno “ammazzato” (parole loro) l’accordo raggiunto con enorme fatica con l’Europa lo scorso novembre dopo due anni di negoziati. E May non ha le caratteristiche politiche per riunire un partito dilaniato tra correnti diversissime, dai brexiters agli europeisti.
Inoltre, il nodo fondamentale del backstop (cioè una sorta di assicurazione concordata con l’Unione Europea per preservare la fluidità e l’invisibilità del confine tra Irlanda del Nord e Repubblica di Irlanda, pilastro fondamentale della pace del Venerdi Santo nel 1998) pare tuttora irrisolvibile: i conservatori ribelli e gli unionisti nordirlandesi (che forniscono appoggio esterno a May in Parlamento) lo vogliono sradicare da un nuovo accordo, per l’Europa invece è imprescindibile.
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Insomma, anche se May è rimasta a galla, lo stallo rimane esattamente lo stesso. Per questo si pensa innanzitutto a rinviare la scadenza del 29 marzo, cosa che Londra può richiedere ai 27 paesi membri Ue, i quali devono approvare. Nei corridoi europei oramai si discute realmente di questa possibilità, ma che senso avrebbe prolungare l’agonia se il Regno Unito non offrirà nulla più di quanto offerto sinora? Il capo negoziatore europeo Barnier, difatti, oggi ha ricordato che il “no deal è sempre più vicino”.
Angela Merkel esclude la possibilità di un nuovo accordo, anche se si dice possibilista sui tempi da dare alla Gran Bretagna per trovare una soluzione interna, su cui – specifica la cancelliera intervenendo oggi al Bundestag – non ci saranno pressioni europee di alcun tipo.
Non infierire su May, ma difendere gli interessi europei. È la linea anche dell’Eliseo: “Abbiamo già raggiunto il limite di quello che potevamo fare nel contesto dell’accordo. Per risolvere un problema di politica interna britannica non possiamo non difendere gli interessi degli europei”.
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