Bersani rivede l’era dell’austerity: “Servì a fare fuori me e Berlusconi”

Augusto Minzolini

«Le vittime dell’austerity? Berlusconi e il sottoscritto…». Alla buvette di Montecitorio l’ex segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, ci mette un attimo a replicare alla domanda perché la risposta l’aveva già sulla bocca.

Pronta. Quel mea culpa dell’altro giorno di Jean-Claude Juncker – «l’austerity fu avventata» gli ha lasciato un sorriso amaro stampato in viso. Se poi a quella frase del presidente della Commissione Ue ci aggiungi le chiose dei vari Di Maio e Salvini, contro la politica del rigore di stampo europeo, il personaggio si morde le dita. Anche perché le parole di Bersani contengono una verità: il Cav fu il paladino, nel braccio di ferro che si innescò in Europa, dei fautori della ricetta dello sviluppo contro la politica dell’austerity, di cui furono artefici Angela Merkel e Nicolas Sarkozy; ne fece le spese e fu cacciato da Palazzo Chigi da un’operazione che ancora oggi definisce un colpo di Stato, ma riuscì ad evitare l’arrivo della politica del Fmi, che Juncker ha additato ancora ieri come responsabile dell’avvitamento greco. Bersani, contemporaneamente, costretto da Napolitano e soci, ad assecondare le indicazioni della Ue, per quella politica ha perso nel giro di qualche anno elezioni, segreteria del Pd e, addirittura, partito, visto che è stato costretto ad inventarsene un altro. Per una politica, oggi può dirlo, di cui non era per nulla convinto.

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