Strage nel Mediterraneo: muoiono 120 disperati, i barconi non si fermano

fabio albanese catania

La rotta del Mediterraneo centrale sembrava si fosse svuotata di migranti, visti i numeri esigui di sbarchi degli ultimi mesi e i proclami della politica. Venerdì, però, l’ennesima tragedia ha ricordato che quel tratto di mare resta il più mortale al mondo. Un gommone con 120 persone a bordo è affondato. I sopravvissuti sono tre. Gli altri 117 migranti, e tra loro donne e bambini, sono ufficialmente dispersi. Ma non ci sono dubbi che siano morti tutti annegati. A riferirlo sono stati i tre giovani salvati dalla Marina militare italiana e portati nell’hotspot di Lampedusa. La procura militare di Roma e quella ordinaria di Agrigento hanno aperto inchieste.

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha espresso «profondo dolore per la tragedia». Il premier Giuseppe Conte ha detto di essere «scioccato da questa nuova strage» e accusa i trafficanti di «crimini contro l’Umanità». Ma, come era facile immaginare, la polemica politica non si è fatta attendere, con il ministro dell’Interno Matteo Salvini che tuona: «Il naufragio di ieri è la dimostrazione che se riapri i porti ritornano i morti. Ribadisco, cuori aperti da chi scappa dalla guerra, ma porti chiusi. Si scordino di ricominciare come a Natale e Capodanno». Il ministro si riferiva non solo al naufragio, ma anche ai salvataggi avvenuti ieri al largo di Zuara, uno da parte dell’unica Ong rimasta al momento attiva, la tedesca Sea Watch. Nell’era delle fake news, supporta La Stampa e l’informazione di qualità

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