Strage nel Mediterraneo: muoiono 120 disperati, i barconi non si fermano
Dalla Libia si parte ancora. Tre sono state ieri le operazioni di soccorso nel Canale di Sicilia, per le imbarcazioni localizzate da un aereo dell’operazione EunavforMed-Sophia: gommoni con a bordo da 40 a 60 persone ciascuno, due dei quali raggiunti da motovedette della Guardia costiera libica che hanno riportato indietro i migranti, mentre il terzo è stato soccorso dalla nave umanitaria Sea Watch 3 che ha preso a bordo 47 persone. Dalla Ong è partita la richiesta di un «pos», il porto sicuro dove sbarcare le persone salvate, contattando Libia, Italia, Malta e Olanda, ma si prepara l’ennesima, lunga attesa in mare: «Abbiamo informato tutte le autorità competenti. Ci abbiamo provato; non siamo riusciti a raggiungere la cosiddetta Guardia costiera libica. Siamo in attesa di istruzioni», ha twittato. La risposta di Salvini alla Ong è stata sferzante: «Vada a Berlino e faccia il giro lungo passando da Rotterdam, facendoli scendere ad Amburgo».
L’isola di Lampedusa, dove sono stati portati i tre sopravvissuti del naufragio di venerdì, in queste ore sembra tornata al centro degli sbarchi: 68 migranti, per la maggior parte di origine subsahariana, partiti dalla Libia con una barca in vetroresina, erano stati recuperati all’alba di venerdì dalla Guardia costiera all’ingresso delle acque territoriali; altri 13, stavolta tunisini, sono arrivati fin dentro il porto ieri mattina.
Questi ce l’hanno fatta a non morire in mare. Ma l’Oim, l’Organizzazione per le migrazioni dell’Onu, stima che da inizio anno sono quasi duecento i morti o i dispersi nel Mediterraneo, 140 solo nella pericolosa rotta tra Libia e Italia, altri 53 appena tre giorni fa tra Marocco e Spagna. Negli ultimi 5 anni sono stati 17.644, più della metà di tutti i migranti morti nel mondo. Con o senza navi di soccorso, la presenza o meno di testimoni diretti, quello tra Europa e Africa continua ad essere un mare di dolore e di morte. «Non ci si può permettere che la tragedia in corso nel Mediterraneo continui – dice Filippo Grandi, Unhcr -. Nessuno sforzo deve essere risparmiato, o precluso, per salvare le vite di quanti sono in pericolo in mare».
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