Grillismo, primi pentiti
Il campanello d’allarme è, soprattutto, per questi ultimi. Non per nulla per esorcizzarlo Di Maio e Di Battista hanno lanciato l’ennesima campagna contro la Francia, scoprendo addirittura 70 anni dopo (ma si sa, la storia non è il loro forte) che De Gaulle si inventò una moneta per le ex colonie (su base volontaria) con l’obiettivo – almeno dichiarato – di garantirgli stabilità finanziaria. Insomma, i gemelli grillini della «boutade» hanno tentato di utilizzare l’antipatia di cui i cugini transalpini godono a livello internazionale per sottacere i guai che il movimento ha in Italia: in dieci mesi, infatti, almeno nel capoluogo della regione che gli aveva dato un’ampia apertura di credito, i 5stelle hanno dilapidato il patrimonio di rabbia e speranze che gli elettori gli avevano affidato. Sono partiti male, mandando in Parlamento un personaggio che si è presentato alle elezioni sapendo di preferire le «strambate» in barca a vela agli emendamenti in una commissione parlamentare: segno dei limiti e delle incongruenze di un movimento che per selezionare la classe dirigente si è inventato la democrazia dei «clic». È finita peggio, perché sulla sconfitta pesano anche le contraddizioni e la delusione di un’esperienza di governo partita con grandi attese, ma che con il trascorrere dei mesi si è fatta sempre più sbiadita. Le illusioni hanno lasciato il passo alle delusioni, la fiducia alla paura. Addirittura la presenza in massa del grillismo di governo – da Di Maio a Toninelli, tutti hanno fatto la loro simpatica trasferta elettorale in Sardegna – ha contribuito al crollo, facendo precipitare il movimento dal 42,3 al 28,92%. È la conferma che la curva discendente dei 5stelle sta accelerando e che i trionfalismi sul reddito di cittadinanza, approvato appena qualche giorno prima del voto, sono solo palliativi.
Anche l’altro polo del cambiamento, non sta meglio. A stare appresso alla narrazione in voga sui media, la caduta dei grillini avrebbe dovuto premiare i leghisti. Invece, niente. La coalizione di centrodestra, di cui erano parte integrante, è arrivata terza. Ora Salvini e soci daranno la colpa agli alleati. Il vicepremier dirà che il candidato, cioè Daniela Noli, è di Forza Italia. Comincerà a teorizzare – come ha fatto in passato – che con gli alleati di ieri il Carroccio perde consenso, che sono una zavorra. Ma anche questo è un alibi, un’illusione ottica: se il mood del Paese fosse quello di cui si parla, un segnale, sia pur minimo, ci sarebbe stato. Invece, è mancato. La ragione è che questa connotazione di governo-opposizione dell’alleanza di centrodestra, è complicata. Se i 5stelle hanno subito una pesante sconfitta per la prova di sé che stanno dando al governo, perché i loro partner nella stanza dei bottoni dovrebbero vincere? Se alla maggior parte degli italiani non piace il reddito di cittadinanza, non è che a Salvini basti non esibire il cartello del provvedimento in conferenza stampa, per prendere le distanze e spogliarsi del ruolo di «complice». Se fosse possibile, sarebbe troppo facile per lui, ma le leggi della politica non avrebbero più senso. La verità è che malgrado la capacità del leader leghista di attirare l’attenzione dell’opinione pubblica sui temi a lui più cari (immigrazione, sicurezza), alla fine le notizie negative che arrivano dall’economia e l’inadeguatezza del governo ad affrontare una congiuntura sfavorevole, finiranno per coinvolgere anche lui. Nei sondaggi, almeno in quelli seri, già c’è il riscontro di questa contaminazione. Questo non significa che gli alleati non abbiano le loro colpe. Vero è infatti, sul versante di Forza Italia, che il ritorno in campo di Berlusconi, deve essere accompagnato da un rinnovamento profondo, calibrato sui limiti grillini: immagini e nomi non possono più appartenere ai cliché di un tempo, ma vanno valutati sul piano della competenza e del radicamento sul territorio, specie se sogni di rappresentare «l’altra Italia». Tanto più se questa operazione deve sanare, o meglio, mitigare, la contraddizione di una coalizione sospesa tra governo e opposizione.
In ultimo, i vincitori «per caso». Non fosse altro per onestà intellettuale, dovrebbero essere i primi a sapere che sono stati premiati per avere fatto meno degli altri: dei maggiorenti del Pd a Cagliari non è andato nessuno. E paradossalmente è stato un bene. Andrea Frailis si è imposto non per gli elettori che sono andati alle urne, ma, soprattutto, per quelli che sono mancati. Un paradosso pericoloso per qualsiasi democrazia. Ma anche una lezione per chi al governo si trastulla sul fatto che non ci sia un’opposizione all’altezza: un Paese che ha avuto il coraggio – e anche l’incoscienza – di mandare nella stanza dei bottoni i grillini per punire i governanti di prima, può anche rifugiarsi nell’astensione per cacciare gli attuali. E per evitarlo non basterà un’altra guerra alla Francia.
IL GIORNALE
Pages: 1 2