Le trappole del voto europeo
di Antonio Polito
Nonostante la discesa in campo di Silvio Berlusconi e Carlo Calenda, l’opposizione non sembra ancora in grado di dare una spallata al governo nelle prossime europee. Perché? Forse il problema è che non ha ancora trovato un nome per definire l’opposto di populismo e sovranismo, e finisce anzi spesso per rivitalizzarli con la sua polemica.
Non è del resto un compito facile. Il termine «populismo» si è rivelato un boomerang per chi lo ha appiccicato con intento denigratorio alle forze politiche emerse in questi anni, che infatti lo esibiscono con orgoglio. I «frame», e cioè i significati simbolici che assumono le parole nel senso comune, sono difficili da scardinare. Il linguista americano George Lakoff, che ha studiato il successo della destra americana, ci ha insegnato che se tu dici a un elettore «non pensare all’elefante» (simbolo del Partito Repubblicano) nella sua testa viene subito in mente un elefante, e la partita è già persa. Allo stesso modo, ogni volta che gli avversari del governo dicono «populismo», alla maggioranza degli italiani viene immediatamente in testa la parola popolo, che poi, nella sua versione latina, corrisponde al greco demos, da cui viene «democrazia»; e non ci trovano niente di male. Spiegare la differenza tra populismo e democrazia diventa così esercizio molto complesso, utile certo per lo studio e la ricerca, ma forse perdente nel dibattito pubblico, alquanto semplificato, dei nostri tempi.
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