Sanremo, al via il festival sovranista. “Ma qui non si parla di politica”

Il suo vice, Claudio Fasulo, chiosa che la «clausola di trasparenza è stata rispettata», e così sia. In effetti, il naturale cinismo dell’ambiente sembra aver già digerito la polemica (peraltro ricorrente, basta ricordare gli anni-Presta) e insomma ormai a sparare sulle liaisons dangereuses di Baglioni & Co. insiste solo Striscia la notizia. Per Sanremo si aggira il kamikaze Staffelli con un Tapiro formato XXL, ma è improbabile che Claudio Magno si presti alla maxiconsegna.

Invece riciccia il tema politico. In questa allegra atmosfera da Anni Trenta che si respira nel Paese, ci mancava solo Sanremo come manifesto musicale dell’Italia sovranista e autarchica, che rifiuta il globalismo delle star internazionali e dell’Europa cattiva in nome della canzonetta «made in Italy».

Con tutti i guai che potrebbero arrivare se mai sul sacro palco dell’Ariston si menzionassero questioni spinose come i migranti, che però sono già nei testi delle canzoni. Vedi i Negrita: «Per far pace con il mondo dei confini e passaporti / Dei fantasmi sulle barche e di barche senza un porto / Come vuole un comandante a cui conviene il gioco sporco», e qui magari a Matteo Salvini fischieranno le orecchie.

Ma guai, per carità. Anatema. Alla messa cantata del mattino tutti ripetono che no, giammai, di politica non si deve parlare e non si parlerà. Promette Baglioni: «Il Festival si baserà sulle canzoni»(purtroppo, si potrebbe aggiungere) e «nella parte dell’intrattenimento vincerà la leggerezza». Giura il co-conduttore, Claudio Bisio: «Non parlerò di migranti, ma neanche di Venezuela, di Bolsonaro, del nuovo esame di maturità, del buco dell’ozono». Invece la co-conduttrice Virginia Raffaele, giudiziosamente, tace, e del resto è così brava che potrebbe fare battute anche sulla mamma di Di Maio e uscirne indenne. Però tutti gli ospiti sono italianissimi, surrogati nazionali di irraggiungibili prodotti internazionali come ai tempi delle inique sanzioni (che ebbero diritto, peraltro, al loro bravo motivetto, Sanzionami questo, già cavallo di battaglia di Paolo Poli e Pippo Franco…).

Chi proprio non si può sottrarre è ancora De Santis: «Non è un festival sovranista ma c’è la voglia di sottolineare un’identità culturale». Come al solito, niente di nuovo sotto il sole della Riviera. È appena uscito un colossale saggio di 800 pagine di Jacopo Tomatis, Storia culturale della canzone italiana (Il Saggiatore), che dimostra come la canzone italiana «canonica» sia un’invenzione di Sanremo e non il contrario come si potrebbe credere. E soprattutto che lo scopo della Rai democristiana, in perfetta continuità con l’Eiar fascista, era quello di salvaguardare l’«italianità» della musica popolare. In altri e più moderni termini: «sottolineare un’identità culturale».

Almeno, però, il sovranismo paga: la Rai annuncia un bottino di 28 milioni di pubblicità, tre più dell’anno scorso. E poi dicono che sono solo canzonette…

LA STAMPA

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