Il danno di navigare a vista
L’azione di governo invece langue. È come se Lega e Cinquestelle avessero finito l’arsenale di idee con cui hanno vinto le elezioni, e dopo quota cento e reddito di cittadinanza non sapessero più che fare, se non celebrarle. Il 2019 sembra già precipitato in una nuova crisi economica, camminiamo sul filo del rasoio tra stagnazione e recessione, oltre al Pil si restringe anche il Paese, gli italiani sono ogni anno meno dell’anno precedente, ma i leader di governo si aggirano come sonnambuli per le piazze d’Abruzzo menando fendenti a destra e a manca, come se Teramo fosse la Sarajevo della legislatura.
Il maleficio della Grande Ipocrisia affligge purtroppo anche le due maggiori forze di opposizione. Entrambe hanno una sola speranza in questa legislatura: allearsi con il più vicino dei due partiti di governo. E questo rende ancor più inestricabile il kamasutra politico nazionale. Berlusconi deve sperare che Salvini torni con lui, così ieri in Abruzzo è resuscitato all’improvviso il fantasma del centrodestra. Dal canto suo il Pd deve sperare che l’anima sinistra dei Cinquestelle batta prima o poi un colpo, magari in Senato sul processo a Salvini. Se la maggioranza di governo non si scongela, l’opposizione non può fare niente; ma se l’opposizione non conta niente, la maggioranza non si scongela. È il comma 22 della politica italiana. D’altra parte Cinquestelle e Lega, pur odiandosi reciprocamente, intendono restare insieme al governo il tempo necessario per assorbire l’uno Forza Italia e l’altro il Pd, così da fondare un nuovo bipolarismo del populismo, e poi vedersela tra di loro alle prossime elezioni. Tant’è che nel voto di Abruzzo e poi di Sardegna non conta tanto chi arriva primo, ma chi arriva secondo. Se infatti un terzo incomodo, come il Pd in Abruzzo, si inserisse nel gioco scavalcando i Cinquestelle, allora il brivido sulla schiena di Di Maio e Di Battista potrebbe sentirsi anche a Roma.
Ma la probabilità, ahinoi, più alta è che sia invece un fattore esterno a far saltare lo stallo politico: il fattore C come crisi. Se dopo l’estate ci trovassimo con la crescita intorno allo zero e una manovra anche più sballata del previsto da recuperare, allora l’equilibrio instabile di questi mesi non reggerebbe più alla pressione di un Paese illuso e presto deluso. È uno scenario così catastrofico che neanche l’opposizione può augurarsi, perché sarebbe difficile ricostruire sulle macerie della terza recessione in pochi anni. Ma che dovrebbe indurre chi è oggi al governo a tentare un colpo di reni, uno scatto di nervi, prima che sia troppo tardi, mobilitando tutte le energie del Paese e tutti i rapporti internazionali di cui disponiamo per scongiurare la crisi. Invece di far chiudere i cantieri della Tav, i negozi alla domenica, e le ambasciate dei Paesi amici.
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