Messaggio al governo che dialoga con i gilet gialli: “Parli con chi protesta in Italia”
Di primo mattino, in piazza della Repubblica, tra le bandiere rosse, verdi e blu dei sindacati confederali, è difficile farsi largo. Troppa gente per poter camminare, il corteo straripa per le vie limitrofe al percorso principale, quello che conduce in piazza San Giovanni. “Abbiamo capito che qualcosa stava succedendo – dirà Landini dal palco – Non a caso abbiamo cambiato piazza rispetto alla scelta iniziale di confluire in piazza del Popolo”, che sarebbe stata troppo piccola. “Numeri non ne diamo – continua il neo-segretario – c’è troppa gente in giro che ne dà… Ma diciamo: contateci. Siamo noi il cambiamento…”.
Questa giornata è il tentativo di riconnettere fili che negli ultimi anni si sono spezzati. I fili della protesta autonoma rispetto alle scelte di governo, da un lato. E i fili dell’interlocuzione con il governo, dall’altro: il vero rebus.
Nel primo caso, l’obiettivo è già raggiunto: i tre sindacati sono tornati insieme, ossa rotte dal dilagare del lavoro precario e dagli errori passati, eppure decisi a rilanciare. Alla fine più che confortati da una piazza che nemmeno loro si aspettavano così gremita.
Il secondo obiettivo è il cuore di tutta la sfida, la ‘sorpresa’ per un governo che si auto-celebra come esecutivo del ‘cambiamento’ e che ha fatto della disintermediazione una professione di fede. “Ora il governo deve decidere cosa fare perché se vuole cambiare questo paese deve farlo insieme ai lavoratori”, dice Landini mentre il corteo tenta di avviarsi.
In piazza ci sono pensionati, certo. Ma ci sono anche i ‘riders’, i fattorini che ci portano la pizza a casa in bici, uno degli anelli più deboli della catena infinita di nuovi lavori precari, proprio loro che all’inizio dell’avventura di governo gialloverde furono ricevuti dal neo-ministro Luigi Di Maio per esserne poi abbandonati. “Siamo qui per chiedere un’assicurazione sul lavoro”, ti dicono in piazza. Non hanno nemmeno quella.
Ci sono i poliziotti del Silp-Cgil: “Un governo che fino ad oggi ha vissuto di annunci e promesse, che sulla sicurezza non ha immesso le necessarie risorse per gli operatori e che ha incrementato la paura, pone ai poliziotti democratici la necessità di far sentire con forza la propria voce”, rivendicano in una nota. C’è uno striscione della Cgil “Riace non si arresta”, in solidarietà al sindaco Mimmo Lucano finito agli arresti per le sue politiche di accoglienza. Ci sono gli operai dell’Ilva di Taranto: “Con quota cento non ci cambia nulla, sempre a 42 anni e 8 mesi di contributi andremo in pensione e in quella fabbrica non si può lavorare tanto a lungo”.
Ci sono anche i lavoratori delle piattaforme petrolifere di Ravenna, nello spezzone della Confindustria emiliana, preoccupata per i posti di lavoro nel settore trivelle dopo il decreto semplificazioni che sospende i permessi per 18 mesi fino al nuovo ‘piano aree’. Ma proprio la loro presenza illumina una parte centrale del discorso di Landini dal palco: “la questione ambientale”, presentata come ‘fil rouge’ della linea del nuovo segretario. “Ci rivolgiamo alle imprese e al governo, ci rivolgiamo alle intelligenze perché è necessario un nuovo modello di sviluppo: la qualità del lavoro e della produzione è punto centrale per noi”.
Dal palco Gerard Djedjemel, originario della Costa d’Avorio, rsu della Uil e lavoratore edile in un cantiere di Legnano, parla di quota cento, “Uno a 67 anni non può continuare a stare sul cantiere!”, e anche del reddito di cittadinanza: “Non è una risposta, serve il lavoro!”. Ed ecco Landini: “Siamo contenti delle misure contro la povertà, ma il reddito di cittadinanza è un ibrido: mescola la lotta alla povertà con le politiche per il lavoro, il rischio è di non far bene né l’uno, né l’altro. E poi prenderanno 6mila ‘navigator’ con contratti precari che darebbero collocamento ad altri precari in cerca di stabilizzazione: sai che capolavoro…”.
Defilati, alla manifestazione ci sono alcuni dirigenti del Pd e della sinistra, Nicola Zingaretti, Maurizio Martina, Nicola Fratoianni, ci sono anche Massimo D’Alema, Sergio Cofferati, Laura Boldrini e altri. Ma il vento di questa piazza non li mette al centro della scena: non ci sono bandiere di partito qui. C’è invece un sindacato che tenta di rimettersi in piedi, con accanto quello che resta di partiti in cerca di autore e rilancio. Per questi anni complicatissimi, la Cgil ha trovato il suo autore, alle prese col test più difficile.
Per questo Landini allarga i ragionamenti, sfrutta il senso della bandiera europea che ha tra le mani il più possibile. “Abbiamo alle spalle 20 anni di austerity, ci dicevano che il mercato avrebbe risolto tutto e invece sono aumentate disuguaglianze e precarietà…”. Ora “serve l’unità dei lavoratori in Italia ma anche in Europa contro le delocalizzazioni, altrimenti non si fa nulla”. E racconta la ‘storiella’ dell’Ungheria, non quella quella del ‘muro’ di Orban, cara a Matteo Salvini. No, quella dei “lavoratori ungheresi che scioperano contro il governo Orban perché, dopo aver beneficiato delle delocalizzazioni a spese degli altri lavoratori europei, ora in Ungheria viene chiesto ai lavoratori di fare 400 ore di straordinario come condizione per lavorare…”.
“Costituzione” col suo “anti-fascismo e anti-razzismo”, non potevano mancare nel discorso del neo-segretario. Salvini resta sempre nel mirino, con tutto il governo: “Alimentano la paura come se il paese fosse invaso dai migranti. Ma ho visto i dati: i giovani che vanno all’estero in cerca di lavoro sono di più rispetto ai migranti che arrivano qui”. E ancora: “Siamo contro la chiusura dei centri di accoglienza: indirettamente mette in discussione dei posti di lavoro. Propongo un corso di formazione per chi pensa che siamo invasi e non sa invece quanta forza arriva dalla differenza…”.
La piazza del 9 febbraio a Roma non è una piazza di elettori del M5s o della Lega già delusi del governo gialloverde, almeno non in larga parte, forse non ancora chissà. Ma è una piazza dove trova sfogo la rabbia o quantomeno gli interrogativi per un’economia che non si rimette in circolo. “Se il governo ha un briciolo di saggezza, dovrebbe aprire un tavolo di trattativa con noi. Altrimenti deve sapere che noi non ci fermeremo: andremo avanti tutti insieme”, insiste Landini.
Nel miscuglio di gente e bandiere, domande e rivendicazioni, si fa largo l’altro filo spezzato di questa fase storica: quello tra sindacato e politica. Sono in tanti a chiederglielo, anche lì nell’area palco. Landini schiva: “Io faccio il sindacato, la politica non sta a me…”. Ma intanto accetta di mettersi alla testa di una macchina complessa: “Quando le cose sono così complicate e difficili, dobbiamo diffidare di chi le semplifica: se incontrate per strada uno che dice ‘da solo risolvo tutto’, dategli la mano e cambiate strada”.
L’HUFFPOST
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