Vaticano, la responsabilità dei vescovi al centro del summit sugli abusi
Le indagini condotte dalla magistratura o da commissioni governative in Paesi come gli Stati Uniti, l’Irlanda, l’Australia, hanno dimostrato che la “protezione” interna dei colpevoli è stata una delle caratteristiche costanti dello scandalo. Il buon nome dell’istituzione e dei sacerdoti, la reputazione della chiesa, la tutela dei propri membri a prescindere dalla giustizia, venivano prima delle vittime. È quanto hanno denunciato con forza anche gli ultimi due Pontefici. D’altro canto, passi importanti sono stati compiuti sulla strada di una maggiore trasparenza, sia in Vaticano che in alcuni episcopati, altrove permangono ritardi gravi; di certo tuttavia una presa di coscienza del problema c’è stata. Allo stesso tempo esiste un problema di responsabilità: ovvero se il vescovo consapevolmente nasconde un reato all’autorità civile deve risponderne in prima persona, non può e non deve essere considerata responsabile tutta l‘istituzione, ragionano Oltretevere.
“Accountability” e trasparenza
In merito al prossimo summit sugli abusi sessuali, convocato eccezionalmente da Papa Francesco, padre Hans Zollner, a capo del comitato organizzativo dell’incontro e uno dei massimi esperti vaticani sul tema, spiega: «Ci concentriamo fin dall’inizio sulle cose che il Papa anche ha approvato»; nell’agenda dei lavori, osserva il gesuita, ci sono vari temi: «come possiamo affrontare il tema della responsabilità dei vescovi nei casi di abuso, come incontrare le vittime, cosa fare con gli abusatori. Poi cercheremo di capire a chi questi vescovi devono rendere conto, è il problema dell’accountability: a chi devono fare un rapporto, se mettono veramente in atto ciò che la Chiesa stessa richiede loro». Ancora bisognerà capire «cosa succede quando non mettono in pratica quanto richiesto».
La parte finale dell’incontro è dedicata invece «alla questione della trasparenza di fronte ai processi interni alla Chiesa: chi deve essere informato, come trasmettere le informazioni importanti al grande pubblico, ai media, come possiamo collaborare in questo senso, e quindi la trasparenza di fronte al popolo di Dio, ai fedeli, che giustamente hanno una grande impazienza e ultimamente in molti paesi del mondo ci chiedono: “Che cosa state facendo?”. Anche perché non siamo molto bravi a parlare delle cose positive che sono successe negli ultimi anni, iniziando da Paesi come Stati uniti, Irlanda, Australia dove le misure di protezione sono in vigore da dieci o vent’anni, e portano frutti veramente visibili».
Il report Pennsylvania
Per padre Zollner c’è un problema legato ai meccanismi dei media, per questi ultimi funziona il criterio per il quale “bad news is a good news”, cioè prevalgono sempre le “cattive notizie”. «Questa – spiega – è una legge del giornalismo e dei media e non possiamo cambiarla, ma possiamo comunicare più attivamente i progressi che stiamo facendo. Il rappresentante del governo tedesco che si occupa di queste vicende ha detto pubblicamente varie volte che in Germania la Chiesa cattolica è l’unica istituzione ad aver fatto veramente progressi nel predisporre misure di prevenzione del fenomeno». Anche negli Stati Uniti, aggiunge il religioso, dal 2002, da quando cioè sono state introdotte nuove politiche per la tutela dei minori, la situazione è cambiata in positivo. «Il report del Grand Jury della Pennsylvania (indagine che ha destato grande scalpore l’estate scorsa, ndr) – afferma Zollner – parla di 301 sacerdoti abusatori dal 1945 fino al 2018, ma se si va a vedere nel dettaglio dal 2002 al 2018 i nuovi casi sono solo 3 e fino al 2002 erano 298; il numero complessivo fa più scalpore, ma c’è anche un lavoro di prevenzione che porta i suoi frutti». A tal proposito va rilevato in ogni caso che il procuratore generale della Pennsylvania, Josh Shapiro, in una recente intervista alla Cnn, ha dichiarato che da quando l’agosto scorso è stato pubblicato il report, alla procura sono arrivate altre 1500 segnalazioni di abusi, secondo il procuratore, inoltre, le cose non sono cambiate veramente nella Chiesa; insomma, spesso quanto rivelato dalle indagini è solo la punta dell’iceberg.
“Il Papa non è un imperatore”
In merito all’ipotesi che il Papa – approfittando anche del prossimo incontro – possa prendere provvedimenti drastici sul piano legislativo per dare un segno tangibile dell’impegno della Chiesa, Zollner ha spiegato: «Penso che questo sia un aspetto ambivalente. Innanzitutto la Chiesa cattolica a differenza di ciò che pensa la gente, non è un’istituzione monolitica, è molto diversificata al suo interno, il Papa non è un imperatore che preme il bottone rosso e tutti i vescovi e sacerdoti lo seguono. Come vediamo anche dalle discussioni pubbliche ci sono alcuni cardinali che criticano il Papa». «Credo – ha aggiunto – che la sua visione della Chiesa non è quella di una piramide, al contrario vuole favorire il metodo sinodale, che significa attuare una vera corresponsabilità fra i vari livelli con le diverse competenze; uno degli intenti del Papa per questo incontro è che i vescovi si rendano conto esattamente di quale sia la loro responsabilità». «Perché – aggiunge – un vescovo particolare o una Conferenza episcopale possono anche facilmente giocare con questo problema e dire: “Questo riguarda Roma”. No, devono assumersi la loro parte id responsabilità, poi ci saranno altri livelli superiori che valuteranno se agiscono bene o meno, e questa secondo me è una delle domande più pertinenti cui dobbiamo rispondere e che non vale solo per questo tema ma che avrà ripercussioni pure su altre questioni».
La teoria e la pratica
Il problema ha una sua complessità anche procedurale e giuridica, non sempre di facile comprensione per l’opinione pubblica. «Il Papa – spiega Zollner – ha già istituito una nuova legge del 2016, il motu proprio Come una madre amorevole, in cui si spiega il contesto in cui i vescovi che sono negligenti nel trattare i casi di abuso possono essere giudicati. Questo già esiste; quindi si vede che almeno in teoria c’è la possibilità di procedere su questo punto, ma ciò che dobbiamo vedere è come questo si configura praticamente, come si applica. Il Papa ha detto pubblicamente che non è favorevole ad un tribunale per i vescovi». In base all’attuale normativa «i vescovi dei Paesi tipicamente detti cristiani, diciamo l’occidente, dovrebbero essere accusati presso la Congregazione per i vescovi. I presuli dell’Africa e dell’Asia sono sotto la giurisdizione di Propaganda Fide, quelli di rito orientale sono sotto la giurisdizione della Congregazione per le chiese orientali. I superiori maggiori dei religiosi rispondono invece alla Congregazione per la vita consacrata. Poi c’è la Segreteria di Stato che controlla i nunzi e altre figure. Secondo me c’è anche un possibile ruolo per il Pontificio Consiglio per i laici perché ci sono dei gruppi nuovi guidati da laici che hanno un ruolo simile a quello dei superiori maggiori. Quindi un tribunale solo non va bene». Emerge, da questo quadro, un rischio frammentazione delle procedure che può portare a un nulla di fatto: «Il problema – rileva Zollner – è proprio quello di avere un unico approccio in questo senso».
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