Matteo&Matteo

Proprio così, un patto tra il Truce e il Royal baby, il Matteo sbagliato e il Matteo giusto, nel ruolo di capo di una formazione centrista, anticomunista, anti-sinistra, praticamente una nuova, piccola, Forza Italia, che avvolge l’ansia governista nella provinciale narrazione macronista. È una suggestione non campata per aria, a sentire umori di ciò che resta del fantastico mondo attorno a Renzi, con tanti se, tanti ma, certo non per l’oggi e neanche per il domani, ovvero a quadro politico vigente, ma per il dopo domani, nel caso in cui cadesse tutto, perché non parlarne, why not?.

È stato molto notato nel Palazzo, ad esempio, un post pubblicato da Umberto Minopoli sulla sua pagina facebook. Minopoli, ex comunista folgorato dal renzismo, alla scorsa Leopolda tenne sul paco l’ultimo, applauditissimo intervento, proprio prima della chiusura di Renzi. Un posto in scaletta non banale, che sottolinea una certa rilevanza in quel mondo. Leggiamo il passaggio chiave: “Il congresso ha detto che questo gruppo dirigente post-renziano non ha alternative, non gioca carte di riserva, è prigioniero di un solo schema, l’attesa dei 5 Stelle. Irrealistico, frustrante e impotente. Se cade il governo, il saggio Mattarella dovrà esercitare una grande creatività per comporre la crisi. Le elezioni non saranno possibili. Che sponda troverà Mattarella nel Pd? Si bloccherà sullo schema: “solo con i 5 Stelle”? Sarebbe idiota e suicida. Invece di un congresso senza politica e dominato dai due dogmi in frantumi, il Pd dovrebbe aprirsi allo sghiacciamento, alla creatività, al coraggio, alla fantasia e all’innovatività”.

Con tanti se – la caduta del governo, la crisi, la possibilità di farne un altro – è comunque la rottura di un tabù, nell’ambito di un ragionamento brutale che, da quelle parti, è assai condiviso: il Pd è un cane morto, e comunque il nuovo Pd è nelle mani dei comunisti come Zingaretti, il Cinque Stelle sono il male assoluto, dunque si deve giocare, in forme e modi nuovi, col centrodestra e con Salvini, magari per una convergenza temporanea in caso di crisi, di fronte alla necessità di tener viva la legislatura. Insomma, il diavolo sono i “comunisti” e i Cinque Stelle, il centrodestra è comunque il terminale di un gioco.

Sia chiaro, in questo articolo non si sta scrivendo che Renzi vuole fare un patto con Salvini, anzi i due non si risparmiano colpi, a botte di tweet e comizi. Però è chiaro che il vero nemico di Renzi sono i grillini. Salvini lo è, ma un po’ meno. E con gli avversari, talvolta, si possono anche fare patti, se le condizioni lo consentono. Stefano Ceccanti, ad esempio, non si scandalizza a parlare dell’ipotesi: “Se cade il governo si dimostra una cosa semplice, e cioè che non si riesce a governare. E allora bisogna riaprire il tema delle riforme istituzionali, e le riforme si fanno con chi ci sta, senza escludere a priori nessuno”. Ecco, magari una bella riforma presidenziale, che farebbe sognare in grande Salvini, e in piccolo Renzi, secondo lo schema che, per diventare l’anti-Salvini nel futuro, si può per un periodo riscrivere le regole del gioco assieme. O, più banalmente, un modo per sentirsi vivo nella disperazione, va pur trovato.

È un umore, smentito dalle dichiarazioni ufficiali, come è smentito che i due, Renzi e Salvini, si sentono, anche se in parecchi sussurrano che è così. Un umore che conferma l’ovvio, l’anticomunismo e l’antigrillismo di Renzi e un certo gioco ad annusarsi dei due mondi che, qualche settimana fa, si ritrovarono a cena, Salvini a un tavolo, Boschi e Bonifazi a un altro, al famoso evento organizzato da Annalisa Chirico, amica sia di un Matteo che dell’altro, fondatrice dell’associazione ipergarantista “Fino a prova contraria”. E che ci dice: “Io vedo questa dinamica. Renzi come leader di una formazione di centro, di stampo moderato che nei prossimi anni farà l’ago della bilancia. In fondo anche Ciudadanos inizia con la sinistra e ora farà il governo con la destra. E Salvini si emancipa, come sta già facendo, dal sovranismo arraffone e folkloristico dei primi tempi, del no euro, per pensare in grande, un leader del centrodestra italiano e del partito del buon senso e del pragmatismo”. Cena che si tenne in un momento di tensione del governo, e dopo il viaggio israeliano di Matteo Salvini e, chissà se è un caso, tra gli ospiti era prevista anche la presenza di Marco Carrai che, solo all’ultimo momento declinò, per evitare polemiche, e magari qualche dietrologia dei maliziosi e dei complottisti in servizio permanente effettivo sulle influenze israeliane nella politica italiana. Figuriamoci, dice chi conosce Salvini, se dopo aver sepolto Berlusconi ha intenzione di risuscitare Renzi. La sua alternativa a questo governo, semmai sarà, è il voto. Resta la chiacchiera che magari resterà tale. È comunque un segno dei tempi. Dice molto della disperazione di ciò che resta del mondo renziano, che dal Pd, di fatto, si è già separato. Fino a prova contraria.

L’HUFFPOST

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