Primarie Pd: l’eroe buono, l’incassatore e il renziano

Il commissario Montalbano contro lo Sceriffo Cattivo. Detto diversamente, con le parole dell’attrice Monica Guerritore, impegnata in teatro con La Giovanna D’Arco e appassionata sostenitrice di Nicola Zingaretti nelle primarie dem: «Per sconfiggere il Male c’è bisogno dell’Eroe».

Non ditemi che la prendo troppo da lontano e che lo storytelling vi ha stancato. Non spiegatemi che politica e spettacolo sono su due piani diversi, se avete appena smesso di leggere le polemiche politiche sulla giuria del festival di Sanremo. In fondo queste primarie dem, le prime del dopo Renzi, potrebbero anche essere raccontata così: riuscirà il nostro Eroe a sconfiggere The Shadow, l’Ombra, l’Antagonista?




vedi anche:

Schermata-2019-02-14-alle-17-11-06-png

Caro Pd, ti scrivo: invia il tuo messaggio al prossimo segretario dem

L’iniziativa è aperta a chi ha votato Pd il 4 marzo, a chi l’ha votato in tempi più lontani ma poi lo ha abbandonato, a chi lo voterebbe se fosse meglio di così e anche a chi non lo vuole votare mai più perché troppo deluso. Lasciate il vostro messaggio (che sarà poi pubblicato sul sito)

Ai gazebo del 3 marzo si decide se il viaggio dell’Eroe comporti una radicale rottura con gli ultimi anni o invece un ritorno a un’esperienza che è stata “mutilata”. L’adesione formale alla proposta di un fronte europeista avanzata da Calenda non risolve il nodo. Seguiamo allora i protagonisti tra piazze, treni, convention: «Le forze sovraniste», dice Zingaretti, «puntano in modo molto sfacciato al logoramento degli istituti della democrazia. Ma non sono pazzi. Anche in una vicenda orribile come quella che riguarda i 40 immigrati tenuti a forza su una nave c’è una logica e noi dobbiamo aprire quella porta e guardare in faccia il mostro per capire come mai le idee di Salvini sono diventate così popolari, perché vince un modello fatto di un capo che comanda e che ha sotto un popolo indistinto. Le due grandi leve che muovono questa sorta di regressione antropologica sono la rivoluzione digitale che scaglia il singolo individuo nella dimensione globale senza alcuna protezione. E questo non può che ingenerare paura. L’altra leva è l’aumento enorme delle diseguaglianze che si accompagna al crollo della produzione: quanto può reggere la democrazia un tasso così elevato di diseguaglianza che tiene fuori non solo i poveri, ma anche le donne e i giovani e in particolare le giovani donne? Per questo io parlo di un riformismo che metta al centro le persone. E dico riformismo, non riformite».

Conferma Marina Berlingheri, deputata di Brescia, esponente di quel mondo cattolico cui Zingaretti tiene tantissimo (sono con lui anche Silvia Costa, Dario Franceschini, David Sassoli) anche perché non vuole essere schiacciato su un radicalismo alla Corbyn (e qui lo soccorre il sostegno del moderato Gentiloni): «Abbiamo bisogno di parole d’ordine unificanti e di riscoprire l’ascolto perché veniamo da una stagione fatta di centinaia di tavoli ai quali tutti parlavano, ma nessuno ascoltava l’altro. Abbiamo speso più tempo ad attaccarci tra di noi che a combattere i nostri avversari politici».

Per tornare a essere competitivo il Pd di Zingaretti pensa dunque di operare una rottura radicale con il renzismo. Immagina un nuovo inizio, forse anche un nuovo simbolo, un nuovo contenitore, nuove alleanze, come in Abruzzo. «Non sono primarie per il Pd. Sono primarie per l’Italia», dice Zingaretti, che dal popolo del 9 febbraio sembra attingere energia: «Da questa manifestazione spira un vento nuovo, l’opposizione a questo governo che non fa gli interessi degli italiani è in campo. Il problema è che dobbiamo cominciare a gettare le reti».

Tra i pescatori che le stanno preparando c’è Goffredo Bettini, il padre spirituale di Zingaretti, l’europarlamentare che ha lanciato la formula del Campo Democratico. E c’è Massimiliano Smeriglio, vicepresidente della Regione Lazio, proveniente dalla sinistra radicale, coordinatore di Piazza Grande, la rete di associazioni e di persone non iscritte al Pd che sostiene il governatore del Lazio: «Bisogna prendere atto di una sconfitta storica e rifondare un nuovo campo democratico che recuperi la diaspora», sostiene Smeriglio. «Per ricostruire però dobbiamo liberarci dal settarismo di centro. Sono passati dal partito della nazione al partito della fazione. Sono contrario alla rottamazione delle persone e figurarsi se voglio cacciare qualcuno, ma i consensi possiamo riconquistarli solo all’insegna della discontinuità. Con il M5S la grande occasione è stata perduta nel 2013. Oggi sono parte integrante di un pessimo governo. Il tema delle alleanze verrà quando sarà necessario, ma non vedo che interesse potremmo avere a regalare il M5S a una deriva nazionalista e razzista». Conclude Zingaretti prima di partire per Bologna per partecipare a una convention di donne e poi per il tour siciliano: «Penso che avremo un risultato straordinario. In giro incontro entusiasmo e passione, agli appuntamenti viene tanta gente che non ha la tessera, affluisce sangue nuovo: più larga sarà la partecipazione e più squillante la vittoria».

Roberto Giachetti e Anna Ascani
Roberto Giachetti e Anna Ascani

Lasciamola per il momento, la bella piazza (ci torneremo più avanti, per incontrare il “figlio del sindacato”, Maurizio Martina, arrivato secondo nel voto degli iscritti) e spostiamoci lontano, molto lontano. A Danzica, dove Roberto Giachetti e Anna Ascani, il ticket iperenziano, celebravano il sindaco Pawel Adamowicz nello stesso giorno in cui i loro due competitor sfilavano a Roma. Un segnale simbolico molto chiaro, potente, che vuole trasmettere un messaggio chiaro di alterità, anche se non di contrapposizione. U

n sindaco liberal-progressista, antisovranista, antirazzista. Un richiamo al superamento delle tradizionali tradizioni politiche. E poi, domenica 10 febbraio, in una Milano che rimane bella sotto la pioggia, si riuniscono i “nativi democratici”. L’appuntamento è al teatro Parenti, luogo storico della cultura milanese. Tantissimi giovani (dal palco parleranno solo loro), magliette arancioni, linguaggio da Leopolda. Start up, innovazione, merito, ma anche equità, libertà, solidarietà. Una nuvola di parole alcune delle quali ho ascoltato anche nella piazza romana che da qua però sembra lontanissima. Qui non si rinnega nulla. Non ci si pente. Non si accetta l’idea della discontinuità: «Il Pd non deve essere ricostruito, rifondato, rigenerato. Il Pd deve essere compiuto», dice Roberto Giachetti.

La mattatrice della giornata però è lei, la Ascani, 31 anni, look molto fashion, abito nero attillato, stivaletti, capelli lunghi e una grinta da rockstar, l’opposto del look volutamente stropicciato da storico militante del partito radicale del suo compagno d’avventura. «Ho cominciato a fare politica per caso», racconta. «Avevo 18 anni e un giorno tornata a casa trovo mio padre, che era democristiano, in riunione con un gruppo di amici con i quali aveva promosso una lista civica. Appena entro, un amico gli fa: “ma scusa, perché non candidiamo tua figlia”. E lui: “No, Anna no”. Allora io dico: “Certo che mi candido, dove devo firmare?”. Da allora per me la politica è condividere i tuoi talenti con gli altri, è potere, declinato come verbo: io posso cambiare le cose. Come pensava Adamowicz, il sindaco di Danzica, dalla cui tomba non a caso abbiamo cominciato questa seconda fase delle primarie. Era uno che costruiva ponti in un paese che sta costruendo muri».

Qua ci sono anche i “Pischelli in cammino”, come Federico, 18 anni, fondatore della start up Breaking Tech: «In un Pd che riprende la falce e martello e riapre la scuola delle Frattocchie non saprei proprio che fare». Ancor più giovane è Paolo, che compirà 16 anni appena in tempo per votare alle primarie: «Io sono nato democratico. Non so vedermi in un mondo senza Europa, in un’Italia senza libertà e temo che qualcuno voglia eliminarle. E non capisco di cosa dovremmo vergognarci. Zingaretti che nasconde il simbolo del Pd contraddice se stesso e Martina che dice “in Puglia voterei Emiliano” non si può sentire».

Appassionati questi ragazzi, ma anche trascinati dalla faziosità dell’età. Non ha paura, allora, ad ammonirli Beppe Sala, quando viene contestato mentre dice che verso il M5S è necessario un atteggiamento più dialogante: «Ritirarsi sull’Aventino durante le trattative per il governo è stato un errore. Guardate che di battaglie identitarie si può anche morire». Non si schiera ufficialmente con nessuno, il sindaco di Milano, ma sa che molti guardano a lui con speranza e che Milano è ormai un modello: «La nostra rivoluzione è coniugare solidarietà e sviluppo. Ma è una rivoluzione fatta con tanta pratica», dice Sala. E anticipa all’Espresso che a breve proprio da Milano partirà un “manifesto contro le diseguaglianze” a cui sta già lavorando.

Mentre Zingaretti indica l’Abruzzo di Legnini – con il Pd alla pari con liste civiche e movimenti quale modello – Giachetti, che pure ha festeggiato Legnini, indica un’altra strada: «Non penso che possiamo rinunciare alla vocazione maggioritaria, altrimenti torniamo alla vecchia Unione fatta di partitini litigiosi». All’obiezione su come possa aspirare ad esser tale un partito del 17 per cento Giachetti replica: «La Lega quattro anni fa aveva il quattro». Quanto al rapporto con il M5S, la chiusura è totale: «Chi dice che si può votare il reddito di cittadinanza commette un grande errore perché significa dire ai giovani che gli mettiamo in mano un assegno ma rinunciamo ai suoi talenti. Noi dobbiamo essere il partito del lavoro, non il partito del reddito», dice Anna Ascani. «Non si fermano i populisti facendo l’accordo con i populisti», rincara Giachetti. Speranze di vincere? «L’ultima volta Renzi ha vinto con il 70 per cento e se vengono a votare quelli che hanno votato la volta scorsa ci saranno sorprese…», dice Luciano Nobili, coordinatore della mozione.

Maurizio Martina
Maurizio Martina

È tempo di un flash back che ci riporti alla piazza di Roma, quella dei sindacati. Alle 7 del 9 febbraio 2019, mentre Giachetti e Ascani sono in volo per Danzica e Zingaretti si prepara a uscire di casa, Maurizio Martina, quarantenne, ex-segretario reggente , secondo classificato nel voto tra gli iscritti, appoggiato dalla maggioranza dei parlamentari già renziani, zaino in spalla, sale su un treno a Milano con i manifestanti che scendono a Roma. «Io sono stato funzionario della Fiom, sono un figlio del sindacato», dice. Ecco il ferroviere calabrese Mimmo, capelli e baffi bianchi, che lo saluta e poi lo fa parlare con il figlio che era nella sinistra giovanile e ora lavora in Svizzera. Poi i pensionati, i lavoratori del commercio. Da tutti “il figlio del sindacato” ascolta un pressante appello all’unità. Lo stesso che risuona a Roma, quando entra nel corteo, verso le 11. «Questa piazza è casa mia. E sento fortemente l’appello all’unità. I miei avversari non sono Zingaretti o Giachetti». La rete che lo sostiene è retta in gran parte dai parlamentari renziani come Luca Lotti e Graziano Del Rio, oltre che dal presidente del partito Matteo Orfini. Cosa che fa dire a Paola De Micheli, coordinatrice della mozione Zingaretti: «Quella di Martina è una pura operazione di ceto politico. Abbiamo realizzato un miracolo perché siamo partiti sotto di cinque punti rispetto a lui».

«Di Zingaretti , ribatte Martina, «non mi convince l’idea che si possano riproporre formule del passato. Abbiamo bisogno di un nuovo centrosinistra, non di tornare al vecchio che non c’è più, con operazioni di vertice. Abbiamo bisogno di reinventare un’idea moderna di redistribuzione». Del resto, dice, anche la semplice riproposizione della continuità non lo convince. Si è capito nel periodo della sua segreteria quando ha cominciato il suo tour nei luoghi difficili. A guardarvi a Tor Bella Monaca, gli dico, pur apprezzando l’intenzione, sembravate dei marziani, atterrati lì per caso : «Non è così. Volevamo dare un segnale e dire: eccoci ci siamo. Noi dobbiamo recuperare un rapporto con chi soffre e stare dove il governo non c’è”. Sarà per questo che la campagna di Martina è costellata di blitz simbolici: sulla nave dei migranti prima, al confine con la Francia, a Bardonecchia. Tuttavia è proprio lui, il figlio del sindacato, ad essere investito dalle contestazioni rivolte ai governi del Pd. Ecco un gruppo di lavoratori della scuola che rumoreggia, ma Martina accetta di portare la croce, ascolta, mette un braccio sulle spalle del contestatore e gli dice:«Proviamo a lavorare insieme, io ci sto. Scrivimi e vediamoci».

Finisce qui il nostro viaggio, in compagnia dell’Eroe designato, del Fool, del Cireneo. Sarà happy end o finale tragico?

L’ESPRESSO

Rating 3.00 out of 5

Pages: 1 2


No Comments so far.

Leave a Reply

Marquee Powered By Know How Media.