Cade anche il tabù della separazione delle carriere dei magistrati
Ecco, non ostile. E chissà se è un caso che, proprio oggi, si è materializzato alla Camera il vicepresidente del Csm David Ermini. Che, dopo la sua elezione al Csm, non si era mai visto da quelle parti. Proprio oggi, dopo giorni che i suoi ex colleghi di partito hanno lanciato strali contro la procura di Firenze, tali da suscitare anche la reazione dell’Anm, in difesa dell’indipendenza della magistratura dagli attacchi della politica, proprio come avveniva ai tempi di Berlusconi.
Ermini, dopo aver ritirato la tessera dell’Inter club di Montecitorio, onorando la sua fede nerazzurra, va a pranzo con i fedeli dell’ortodossia renziana. Due chiacchiere con Maria Elena Boschi, poi si attovaglia con Alessia Morani, che nel Pd si occupa di giustizia, Stefano Ceccanti, che si occupa di riforme costituzionali, Carmelo Miceli, avvocato siciliano di granitico garantismo. Magari è stata solo una rimpatriata tra vecchi amici, però l’istantanea fa effetto: il vice-presidente del Csm, ovvero il vice di Mattarella nell’organo di autogoverno dei giudici a pranzo con i pasdaran del renzismo. Perché in politica contano anche i gesti, gli atti simbolici, i silenzi e le parole. Attestano vicinanza, condivisione, sintonia, soprattutto nei momenti in cui una storia fa un salto, attraverso un conflitto: la politica da un lato, le toghe dall’altro. Perché che cosa è, se non il segno di una profonda mutazione genetica, la reazione renziana di fronte all’arresto dei genitori dell’ex premier? Le parole di Renzi, l’intervista di Orfini all’HuffPost, il j’accuse di Maria Elena Boschi al Foglio contro “la gogna” e “l’uso politico della giustizia”?
Adesso anche l’ultimo tabù è rotto, la separazione delle carriere. L’argomento, già nella “mozione Martina”, è scritto in grassetto a pagina 25: “Il tema della separazione delle carriere appare ineludibile per garantire un giudice terzo e imparziale”. Come se, nell’ordinamento vigente che non la prevede, i giudici non lo fossero, tesi appunto cara a Berlusconi. Il passo ulteriore, rispetto a un programma messo per iscritto, è il provvedimento presentato in commissione. Franco Vazio, avvocato del Pd, ne parla senza remore: “Non solo sono aperto al confronto in Commissione, ma ritengo sia indispensabile. Si tratta di una riforma che sta nel segno della riforma del processo penale, ne dà seguito, mettendo le due sullo stesso piano, cosa che non è oggi. È una cosa che io sostengo da molto tempo, oggi è patrimonio della discussione del Pd”.
Magari non di tutto il Pd, perché dalle parti dei sostenitori di Zingaretti la tesi del “complotto” giudiziario è vissuta con un malcelato fastidio. Né si trovano truppe pronte a partire per una crociata contro la magistratura. Però il punto non è solo questo. Il punto è che è cambiata la natura delle primarie e del “discorso” pubblico del Pd, monopolizzato dalla questione giudiziaria. Non è un caso che proprio Renzi ha trasferito la sua presentazione del libro a Torino in una sala del Lingotto che ben si presta a un bagno di folla. La sua “altra strada” è lastricata di vittimismo, iper-garantismo, sindrome dell’assedio come terreno per chiamare alle armi del suo popolo in nome di un “non mollo” che gasa le tifoserie. Non ci vuole un genio per vedere in questo approccio non solo una reazione emotiva, ma una strategia consapevole per “mandare in vacca le primarie”, come dicono dentro al Pd. Perché su questi presupposti la competizione poco si presta a scaldare i cuori e a risuscitare interesse nei tanti delusi che, proprio nell’era renziana, si sono allontanati dal Pd.
Resta un elemento, ad oggi, che in prospettiva non di poco conto. C’è un pezzo del Pd disponibile a confrontarsi sulla giustizia col centrodestra. Il che alimenta quella suggestione che da tempo gira nei Palazzi: “È proprio la giustizia e, con essa, la grande riforma costituzionale il terreno possibile di confronto tra chi si riconosce in Renzi e nel suo partito, se e quando lo farà, e la Lega, semmai dovesse crollare tutto?”. È la tesi del Foglio, di ambienti renziani, degli organizzatori della famosa cena dove parteciparono Salvini e la Boschi, al termine proprio di un evento sulla giustizia. Chissà. Queste al momento sono suggestioni. La rottura dei tabù, la mutazione genetica nel segno della berlusconizzazione, questi sono fatti.
L’HUFFPOST
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