Renzi: “Non mollo, fiero dei miei genitori”. E il suo popolo gli chiede un nuovo partito

L’ex premier sul palco del Lingotto indossa la camicia bianca d’ordinanza, ma il sorriso stiracchiato non basta a nascondere la rabbia. «Noi siamo quelli che restano e non mollano mai», promette. Il pubblico applaude convinto. «Non mi sentirete mai dire una sola parola contro la giustizia italiana». Poi alza la posta: «Faccio solo notare che l’esecuzione del provvedimento restrittivo è arrivata un’ora e mezza prima del voto su Salvini. Questa non è giustizia a orologeria, è un dato di fatto». E ancora: «È stupefacente che per anni si sia costruita una fitta ragnatela di indagini nei confronti dell’allora presidente del Consiglio e dei suoi familiari». Renzi è un animale ferito, umanamente provato: «Non dormo la notte. Non è giusto che mia madre viva una situazione simile. Sono fiero e orgoglioso di esser figlio di Tiziano Renzi e Laura Bovoli perché conosco i fatti». Già, i fatti. Con i suoi fedelissimi l’ex segretario si è detto convinto che i genitori verranno assolti.

Il «one man show» continua con la firma in diretta della querela nei confronti di Marco Travaglio. In prima fila c’è lo stato maggiore renziano (quasi) al completo: Boschi, Bonifazi, Guerini. Giachetti («Gli arresti domiciliari si fanno al mattino, non all’ora dei tg serali») incassa un’ovazione. Per Martina l’applauso della sala è tiepido. I sostenitori più accaniti sono arrivati in pullman da Bologna, Modena, Firenze, Milano: geografia minima delle sacche di resistenza del renzismo. Rivendicano fieri la loro appartenenza politica: «Siamo fan di Matteo, oggi più che mai».

Riempiono la Sala gialla del Lingotto, luogo simbolo di tante tappe salienti nella vita del Partito democratico. Samuel Juliano ha 21 anni, la tessera del Pd in tasca e le idee chiare: «L’indagine della procura di Firenze è un attacco politico a Matteo, è un’inchiesta a orologeria». «Sono qui innanzitutto per testimoniare la vicinanza umana a Renzi. È una vergogna, in Italia nessuno viene arrestato per le fatture false», commenta a mezza voce l’ex postina Alessandra Cavallotto.

La verità è che il popolo renziano è stufo. Di stare all’opposizione, della «giustizia a orologeria», dei vertici Pd «che in questi giorni stanno zitti perché, sotto sotto, godono delle disgrazie di Matteo». Ce n’è per tutti. Gentiloni diventa «un politico irriconoscente», Zingaretti «il segretario che farà morire il Pd». Non si salva nemmeno Martina, «né carne né pesce». Confrontando questa platea con quella delle prime edizioni della Leopolda, si scopre che qualcosa è cambiato. Innanzitutto l’età dei partecipanti: pochi giovani e tanti over 60. Anche le parole d’ordine non sono più le stesse: se un tempo l’obiettivo era rottamare i notabili e scalare il Pd, ora la tentazione è quella di abbandonare la casa materna. Andare oltre al Partito democratico non è più un tabù. «Quelli ormai ci odiano, non ha più senso stare assieme», sbotta Liliana Innocenti, professione infermiera. Giovanni Trinchieri è un preside in pensione, ma anche uno storico attivista del centrosinistra della provincia di Torino: «Zingaretti non ha un programma, punta solo sulla discontinuità da Renzi». È un umore diffuso. Al fondo della sala Roberto Giachetti si liscia la barba e guarda al futuro: «Se vince il mio avversario e il partito prende una linea che non coincide con i miei valori, non esiterò a togliere il disturbo».

LA STAMPA

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