Muoia Sansone: Matteo Renzi al Lingotto prova a trascinare a fondo quel che resta di Pd e primarie
Ecco la scena. La sala del Lingotto esaltata, anche con parecchia gente fuori su di giri. In prima fila, due candidati su tre alla segreteria del Pd, Giachetti e Martina, che addirittura rinuncia a un’altra iniziativa per andare a Torino. Renzi che, dal palco, altrettanto gasato, adrenalinico, scamiciato chiama alla “resistenza” contro tutto e tutti, prigioniero di un passato mai elaborato. E che urla ferito “sono orgoglioso dei miei genitori”.
L’immagine dice tutto. Parliamoci chiaro, siamo al “muoia Sansone”, con un leader che, pur di creare danni ai propri avversari, travolge tutto, in una battaglia in perdita, a partire da se stesso. L'”altra strada”, che poi è sempre la “stessa strada” è lastricata di vittimismo, iper-garantismo, sindrome dell’assedio come terreno per chiamare alle armi il suo popolo contro i barbari. Non ci vuole un genio per vedere in questo approccio non solo una reazione emotiva, ma una strategia consapevole per “far fallire le primarie”, o quantomeno risucchiarle nel gorgo di un passato che torna e del personalismo leaderistico. Appunto, muoia Sansone, i filistei, il Pd. Perché è evidente che su questi presupposti la competizione poco si presta a scaldare i cuori e a risuscitare interesse nei tanti delusi che, proprio nell’era renziana, si sono allontanati dal Pd.
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