‘Il nome della rosa’, la prima puntata è un successo social. Citazioni e confronti. E la gara fra Connery e Turturro

 

‘Il nome della rosa’ e le analogie con il presente

Italia anno domini 1327 ma tanto simile a questo 2019. Si cercano e si trovano analogie con il presente. Non solo l’odio e l’ignoranza cui contrapporre l’arma della conoscenza, ma pure la paura, perché “mentre sogniamo mondi migliori, governanti ciechi guidano popoli ciechi verso l’abisso”, o quel “se il mondo non vi vuole, ricordate che ha rifiutato Cristo prima di voi”. O ancora, “nessuna guerra è giusta, il mondo non si cambia uccidendo”. E come fai a non ammirare ancora una volta l’occhio lungo, lunghissimo dell’autore del capolavoro.

Una serie kolossal

Fattura sontuosa, respiro internazionale, cura dei dettagli. La fotografia, i costumi, i notturni, quei luoghi fermi nel tempo. Le facce dei monaci, brutti come i dèmoni che combattono. C’era il sospetto che Il nome della rosa fosse un prodottone e la prima puntata ne è la prova. Il social plaudono la regia di Giacomo Battiato, l’interpretazione di John Turturro, l’apparizione di Rupert Everett, Alessio Boni, Fabrizio Bentivoglio, Roberto Herlitzka. Pochi riconoscono Stefano Fresi dietro alle ore di trucco cui s’è sottoposto per impersonare Salvatore, tanti esultano quando sentono dalla sua voce il monito già tormentone al tempo del film: “Penitenziàgite!”.

Giacomo Battiato: “Questo lavoro una sfida, ma anche un onore”

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Il confronto con Sean Connery e il film di Annaud

Certo, il confronto con il film diretto nel 1986 da Jean-Jacques Annaud è inevitabile. Metà dei tuittanti commenta la serie e l’altra metà cita Sean Connery, “l’unico e il solo Guglielmo”, o ne rimpiange l’ironia, il grottesco, qui sacrificati alla solennità del racconto. O l’atmosfera, per alcuni poco tesa, poco thriller, troppo Game of Thrones. C’è chi riconosce, nelle battute, precise frasi del libro, chi critica i capelli troppo pettinati dei monaci, i serial-freaks fanno a chi arriva prima a ricordare i precedenti degli interpreti, il più gettonato è Michael Emerson, qui abate Abbone ma per tutti Benjamin Linus di Lost.

Una storia di sangue e di sapere

La storia è nota. Adso che lascia le armi e s’aggrega a frate Guglielmo, obiettivo la straordinaria biblioteca di un’abbazia benedettina. Il viaggio attraverso lo splendore di luoghi mistici e selvaggi, l’arrivo all’abbazia, l’ingresso nello scriptorium.  L’accoglienza dei monaci Berengario, Venanzio, il cieco Jorge da Burgos (“Viviamo in un’età molto più spaventosa di quanto un miniaturista possa immaginare”), il bibliotecario Malachia. Abbazia sconvolta però da due omicidi, quello del miniaturista Adelmo, fratello amatissimo che lavorando glorificava il signore, e quella del monaco Venanzio, finito a gambe all’aria in un barile pieno di sangue di porco.

‘Il nome della rosa’, Everett e Turturro nella serie dal romanzo di Umberto Eco

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Guglielmo indaga ma deve fare in fretta, prima che arrivi la delegazione papale capitanata da Bernardo Gui. Adso, benché in piena fase vocazionale, è quanto meno incuriosito da una giovane occitana dalle chiome color rame che vive nella vicina foresta. Quindi il ritrovamento di un codice scritto da Venanzio prima che venisse assassinato, la decisione di accedere alla labirintica e misteriosissima biblioteca che – spiegano i monaci – “si difende da sola, insondabile come la verità che ospita, ingannevole come la menzogna che custodisce”.

Il racconto di un peccatore

Sullo sfondo, un’Europa di migranti, fondamentalisti e oscurantismo, in cui il sapere è una minaccia da annientare. Tutto raccontato dallo stesso Adso, che così dice all’inizio della puntata: “Giunto al termine della mia vita di peccatore, mentre declino canuto insieme al mondo, mi accingo a lasciare su questa pergamena testimonianza degli eventi mirabili e tremendi cui mi accadde di assistere in gioventù, sul finire dell’anno 1327”. Testimonianza declinata in altre sette puntate per il pubblico di Rai1.

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