Tav, Governo in analisi
Come ha ricordato l’Ue, all’inizio di questo conclave da pese sudamericano dove gli impegni presi sono sacrificati sugli altari dei comizi, facendo filtrare che il “no’ alla Tav comporterà la violazione di due regolamenti Ue del 2013 e la perdita di circa 800 milioni di cui 300 milioni entro marzo e il resto successivamente. Salvini, che col vicepresidente della Commissione Katainen, ha parlato ieri, prima di entrare al vertice, con una frase dice tutto: “Costa più non farla che farla”.
Solo in Italia, dove le parole hanno una certa leggerezza, finché non cozzano con la testardaggine dei dati di realtà, si poteva derubricare l’argomento a una questione “tecnica”, affidata a una serie di analisi costi-benefici, tenute misteriose come il Terzo mistero di Fatima, tranne poi essere accantonate perché “la decisione è politica”. Politico è il drammatico irrigidimento di Luigi Di Maio delle ultime ore, che sull’opera vive un’irrinunciabile linea del Piave identitaria, almeno così fa trapelare. L’ultima, dopo mesi di cedimenti e di erosione di consensi. Basta la giornata di oggi per capire chi comanda davvero. L’approvazione della legittima difesa, misura simbolo del Far West leghista, con tanti assenti e mugugni da parte dell’alleato. Poi le mani sulla Rai, con una riforma che prevede una mega-direzione che si occupa di tutti gli approfondimenti, riducendo i direttori di rete a meri gestori del palinsesto. È il prezzo pagato alla Lega, in cambio del consolidamento dell’ad Salini.
Voi capite che ammainare la bandiera della Tav, per Di Maio sarebbe una Caporetto. Si spiega così, l’irrigidimento delle ultime ore. Parlando con qualche collega dell’opposizione, il capogruppo della Lega Riccardo Molinari spiegava: “Noi ce la stiamo mettendo tutta, per trovare una soluzione. Ma il punto è che Di Maio non la regge, non regge i suoi”. Ecco, non regge. È un qualcosa che va oltre la volontà di tenere in piedi il governo, di mediare, di scavallare l’ostacolo. Era illuminate fare un giro nei Palazzi oggi. E raccogliere gli umori tra i Cinque Stelle: “Luigi – dice un parlamentare del Nord – non si è reso conto che il malcontento è così ampio. Con un via libera all’opera e si dimettono decine di consiglieri del Nord in Piemonte e Lombardia”. L’effetto sarebbe devastante anche in Senato, con Airola e altri tre o quattro senatori, pronti ad andarsene, portando con se la certezza di avere una maggioranza a Palazzo Madama, perché a quel punto i numeri sarebbero ballerini. Francesco Silvestri, incrociando qualche collega, dice: “Siamo un bivio vero”.
Costa di più non farla che farlaMatteo Salvini
Diciamo le cose come stanno. Nessuno vuole la crisi di governo, ma ci sono situazioni in cui le crisi sono il frutto non di una volontà di rottura, ma di una incapacità di gestione, perché si crea una situazione in cui avanti non si riesce ad andare e indietro non si può tornare. E chissà se è un caso che, negli ultimi giorni, la parola “crisi di governo” è stata “sdoganata”. Quel che è evidente, è che questa incertezza sulla Tav ha già determinato un impatto negativo, perché sono bloccati anche progetti relativi alle linee ferroviarie ad alta velocità, complementari al tratto Transalpino. Proprio in questi giorni sarebbe dovuto uscire, l’analisi costi-benefici sulla Alta Velocità Brescia-Verona-Padova, otto miliardi, affidata sempre a professor Ponti. È il proseguimento naturale della Tav, nell’ambito dello stesso corridoio mediterraneo, anche se evidentemente non riguarda gli attuali bandi perché è un’opera italiana. Però è altrettanto evidente che la paralisi sulla Tav blocca anche il suo “proseguimento”, importante per la Lombardia e Veneto. Si spiega così lo sconcerto che associazioni imprenditoriali hanno espresso a Salvini, o la crescente insofferenza dei governatori del Nord. È una situazione limite per la Lega. Perché è chiaro che, per dirla con Giorgetti, “così non la reggiamo noi”.
L’ultimo capitolo di questo tunnel della politica è un’idea che pure gira tra i Cinque Stelle, affidata a qualche spiffero, secondo cui si potrebbe dare il via libera ai bandi sulla Tav, ma sarebbe vincolato al dirottamento dei soldi su un’altra opera, il traforo del Frejus. A bandi invariati. E senza mettere nulla per iscritto, dal carattere vincolante. Cioè, come in un gioco delle tre carte giuridicamente improbabile, i bandi sulla Tav partirebbero, e Salvini potrebbe sbandierarli in campagna elettorale, ma l’escamotage retorico consentirebbe a Di Maio di dire che, nei prossimi sei mesi, partirà una trattativa in Europa per destinarli a un’altra opera, visto che in teoria ci sono sei mesi per tornare indietro sulla Tav, anche se non c’entra nulla con il trattato in questione. Cioè: una direbbe che si fa, l’altro che non si fa, con i cittadini chiamati a interrogarsi sull’indovinello di governo. Insomma, un modo furbesco per scavallare le Europee. C’è poco da fare. Il punto è un sì o un no ai bandi. Se partono, ognuno può dire quel che vuole, ma la Tav si fa, magari con modifiche, ma non si blocca. Altrimenti è no. Davvero: solo in Italia.
L’HUFFPOST
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