Perché il richiamo Usa all’Italia sulla Cina deve preoccupare
(A cura di Francesco Bechis per Formiche.net)
Prima i flirt con Huawei, ora la tentazione Obor (One Belt One Road). L’Italia gialloverde si fa sempre più vicina alla Cina di Xi Jinping, pronto a far la sua prima visita ufficiale a Roma il prossimo 22 marzo. Quelle che sembravano piccole scosse di assestamento assumono man mano la forma di grandi movimenti tellurici. Non piace agli Stati Uniti questo sguardo rivolto ad Est di uno dei loro principali alleati. Tanto più nel bel mezzo di uno scontro diplomatico (e non solo, viste le tensioni continue fra navi militari nel Mar cinese meridionale) che vede Washington e Pechino impegnati in quella che schiere di storici e politologi non esitano a definire una Guerra Fredda 2.0. Così i moniti da una parte all’altra dell’Atlantico vanno moltiplicandosi, e trovano alterna fortuna dentro al governo italiano, con i leghisti più sensibili alle richieste americane e i Cinque Stelle convinti a tenere la barra dritta all’insegna dell’ Italy first. “Tutto ha un prezzo”. Kelsey Broderick, fellow dell’Eurasia Group fondato da Ian Bremmer ed esperta di Cina, spiega da Washington ai microfoni di Formiche.net che la pazienza dei nostri alleati ha un limite. “Non penso che la Casa Bianca possa spingersi al punto di punire l’Italia per la sua cooperazione con i cinesi, ma sicuramente la pressione non diminuirà e l’indifferenza del governo italiano ai richiami americani può costituire un punto di svolta in negativo nei rapporti bilaterali”.
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