Salvini frena sulla ‘Via della Seta’: dopo il sì Tav, un altro passo per accreditarsi a Bruxelles e Washington

Dopo il sì alla Tav, battaglia che la scorsa settimana ha portato il governo sull’orlo della crisi, anche i distinguo sulla via della Seta servono al leader della Lega per accreditarsi a Washington e a Bruxelles, entrambe contrarie all’accordo tra Roma e Pechino. E’ un posizionamento tattico in vista del voto di maggio e – soprattutto – delle alleanze che si faranno dopo al Parlamento europeo. Salvini vuole far fruttare il 30 per cento abbondante che gli viene attribuito dai sondaggi

Come abbiamo scritto dieci giorni fa, gli uomini di Trump lo hanno detto esplicitamente al presidente dell’Europarlamento Antonio Tajani nella sua visita a Washington a fine febbraio. Pur populista e ‘sfascia-Europa’, Trump è contrario ad un’intesa tra i Popolari e i sovranisti e populisti europei che considera al soldo della Russia o della Cina, a seconda dei casi. Significherebbe perdere l’Ue dall’area di influenza atlantica e svenderla a Mosca e Pechino. Mai, dicono da Washington, dove pochi giorni fa anche Giorgetti ha fatto i suoi incontri nel tentativo di costruire un’immagine di affidabilità per il governo italiano.

Certo, è un quadro che mette in luce anche le contraddizioni e i limiti della politica ‘trumpiana’, evidentemente. Ma, ad ogni modo, è per questo che ora la Lega deve frenare sulla Via della Seta: per non inimicarsi Trump e cercare di guadagnare la considerazione del Ppe che è ancora primo partito nei sondaggi, candidato anche questa volta a tessere la nuova maggioranza all’Europarlamento dopo le europee e gestire quindi le trattative sulle nuove cariche ai vertici dell’Ue.

L’accordo con la Cina, dice Giorgetti in conferenza stampa con Salvini dopo la riunione nella sede di via Bellerio a Milano, “dovrà sicuramente contenere nobili intenti per migliorare relazioni economiche e commerciali tra Italia e Cina, ma non impegni che possano creare interferenze di ordine strategico per il consolidato posizionamento del Paese”. E ricorda che in Italia c’è “una normativa, la golden share, che potrà anche essere migliorata, per tutelare gli interessi strategici del Paese che vengono prima di tutti gli altri”. Dunque, l’accordo “dovrà servire a migliorare le relazioni economiche e commerciali ma non potrà andare oltre questo confine che è l’interesse strategico del Paese”.

Sempre per non isolarsi in Europa, Salvini oggi attacca anche il Ppe che vorrebbe espellere il premier ungherese Viktor Orban all’assemblea convocata per il 20 marzo a Bruxelles. “Sarebbe una scelta folle privarsi di un premier democraticamente eletto: Orban è uno dei nostri interlocutori, oggi gli ho mandato un messaggio”, dice il ministro dell’Interno dopo la riunione del consiglio della Lega in via Bellerio, dedicata anche alle alleanze europee in vista del voto di maggio. Confermato l’asse con Marine Le Pen e l’interlocuzione con Orban, appunto. Ad aprile è prevista un’iniziativa con “gli alleati” sovranisti a Roma. Ma va sventata l’espulsione di Orban dal Ppe: Salvini sa che sarebbe il primo passo per tenere anche la Lega (con Le Pen) fuori dai giochi. Domani comunque lo Spitzenkandidat dei Popolari Manfred Weber è in missione a Budapest per cercare di portare Orban a più miti consigli, anche se nel Ppe ormai c’è la maggioranza per espellerlo, su spinta americana.

Sulla storia cinese Salvini dunque cammina sulle uova. E sulle contraddizioni. In passato il vicepremier ha sempre avuto parole buone per Geraci, se lo immaginava anche come premier. Ora è costretto a smentirlo, sapendo comunque che anche il treno cinese – come la Tav – non si fermerà. Geraci infatti va avanti sul memorandum con la Cina: “Gli alleati americani saranno positivamente sorpresi dopo aver letto il Memorandum of Understanding: l’obiettivo dell’accordo è quello di portare la Cina verso gli standard occidentali”.

Il sottosegretario ci sta lavorando dallo scorso autunno, quando ebbe modo di illustrare il progetto anche a Bruxelles in una riunione con i parlamentari italiani che si occupano di commercio internazionale. In quell’occasione, apprende Huffpost che ha ascoltato un audio di quella riunione, il sottosegretario usò anche l’esempio della vendita del porto di Trieste ai cinesi per dire di tutti i possibili punti di un accordo commerciale con la Cina. Paese che, è la sua argomentazione, usa i 28 paesi dell’Ue come “28 porte di ingresso in Europa”. L’Italia insomma deve approfittarne, anche se questo può voler dire vendere i porti alla Cina, proprio come ha fatto la Grecia col Pireo (ma Atene era sul lastrico quando è successo…).

Da Pechino il portavoce del ministero degli Esteri Lu Kang dà “il benvenuto alla partecipazione dell’Italia alla Belt and Road Initiative (la Nuova via della Seta), che riteniamo creerà maggiore spazio per una cooperazione reciproca vantaggiosa e porterà maggiori benefici alle comunità imprenditoriali e alle nostre popolazioni di entrambe le parti”.

Insomma, la macchina ormai è partita, anche per volontà leghista (almeno inizialmente). Da Palazzo Chigi insistono: “Nella collaborazione con la Cina, come con ogni altro Paese, poniamo massima attenzione alla difesa dei nostri interessi nazionali, alla protezione delle infrastrutture strategiche, incluse quelle delle telecomunicazioni, e quindi alla sicurezza cibernetica. Il testo” del possibile Memorandum sulla Via della Seta “su richiesta italiana, imposta con grande chiarezza tale possibile collaborazione sui principi, cari a tutta l’Ue, di trasparenza, sostenibilità finanziaria ed ambientale”. Domani il premier Conte interverrà al Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, il Copasir, per parlare della Rete 5G, il nuovo standard per la comunicazione mobile che sarà disponibile dal 2020, e di sicurezza delle telecomunicazioni.

Perché è questo uno dei problemi maggiori sollevati dall’amministrazione Trump, impegnata in un braccio di ferro con i colossi cinesi Huawei e Zte. Il presidente degli Usa ha avvertito anche Angela Merkel: se aprite le porte a Huawei per la realizzazione delle reti 5G, gli Usa sono pronti a limitare la loro collaborazione con la Germania nel campo dell’intelligence. Avvertimento contenuto in una lettera dell’8 marzo scorso e firmata dall’ambasciatore americano a Berlino Richard Grenell, racconta il Wall Street Journal.

Quali leve userà Trump con l’Italia per ‘sventare’ la firma del Memorandum tra Roma e Pechino? Un Memorandum che tra l’altro è segreto: “Alla faccia della trasparenza sempre invocata soprattutto dalla parte pentastellata al governo”, sottolinea l’europarlamentare del Pd Isabella De Monte.

L’HUFFPOST

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