Quei limiti invalicabili
Ogni tanto quell’uovo si schiude, e il serpente uccide. Come è successo ieri a Christchurch (che nome per una strage anti-islamica). O come era successo il 22 luglio del 2011, su una piccola isola norvegese, con la ferocia di Anders Behring Breivik, cui si è esplicitamente ispirato l’assassino di ieri. O come sarebbe potuto succedere nel febbraio di un anno fa a Macerata, se solo fosse stata migliore la mira di Luca Traini, onorato anche lui di una citazione dal killer che ha falciato 49 fedeli musulmani in preghiera.
Quella di Brenton Tarrant non è dunque la strage di un folle. Infatti è già successo, e può succedere ancora. È una folle strage, certamente, perché è folle fare scempio della vita umana. Ma l’assassino aveva un programma politico, mentre uccideva. E ce ne ha lasciato una copiosa e dettagliata documentazione. Alcune delle idee di quest’uomo, che si definisce un «eco-fascista», sembrano anzi appena uscite dal telegiornale della sera, sono cioè parte quotidiana del dibattito pubblico che si svolge da anni nei Paesi europei e negli Stati Uniti: la crisi di fertilità nelle nazioni occidentali, con un numero di nascite inferiore al tasso di rimpiazzo della popolazione (l’intero documento è titolato «Il Grande rimpiazzo»). La paura che il vuoto demografico sia riempito da «un’invasione mai vista prima nella storia». Dunque la necessità di mettere fine all’immigrazione e di “deportare gli invasori che già vivono sul suolo europeo”. L’espulsione della Turchia dalla Nato. L’odio per Merkel e per Macron, «globalista, capitalista, ex banchiere». I musulmani che dovrebbero restare a casa loro. Le Ong che trasportano gli invasori sulle coste dell’Europa, contribuendo così al «genocidio bianco». L’Europa agli europei. Perfino un omaggio al «populismo»: «Tutti i veri movimenti sono movimenti populisti». Per quanto sia australiano di nascita e per quanto abbia agito in Nuova Zelanda, Tarrant è un europeo, di origini scozzesi, irlandesi, inglesi. Sostiene anche la Brexit nel suo testo. È uno di noi. Si descrive come un «angry white man», quel gruppo di giovani maschi arrabbiati, il «forgotten people« che è stato identificato come il motore del successo elettorale di Trump, lodato peraltro nel testo: «Sono un uomo bianco, di 28 anni, nato in una famiglia a basso reddito della working class», scrive di sé.
Anche il pantheon di eroi che ha inciso sulle impugnature delle sue armi lo conosciamo bene. Di Traini abbiamo detto. Ma ci sono pure i veneziani che nel XVI secolo fermarono l’espansione ottomana nella grande battaglia navale di Lepanto, ancora oggi simbolo dell’islamofobia (in Italia c’è anche una rivista che si chiama Lepanto). E poi Carlo Martello, il condottiero che fermò i musulmani a Poitiers, prima che varcassero i Pirenei e dilagassero in Europa. Forse Tarrant non lo sa, o forse sì: ma fu proprio in una cronaca di quella battaglia del 732 d.C. che comparve per la prima volta il termine «europei» per definire i cavalieri Franchi, progenitori del Sacro Romano Impero. Naturalmente chiunque può usare la storia per perseguire un disegno senza storia. E i fanatici lo sanno fare meglio di chiunque altro. Naturalmente chiunque può nascondere la sua disumana pulsione omicida dietro idee politiche in ogni caso legittime, quando non violente. Ma è bene sapere che Tarrant, come Traini, è in mezzo a noi. Anzi, è dentro di noi. E che ogni volta che dibattiamo i problemi delle nostre società, nella politica o sui media, anche dividendoci, anche litigando, dobbiamo ricordarci di osservare sempre rigidamente il limite invalicabile della ragione e della tolleranza, del rispetto per gli altri e soprattutto della ripugnanza per il razzismo, di pelle, di religione, di etnia. Se vogliamo impedire che, come avvenne poco più di un secolo fa, quelle uova di serpente si schiudano tutte insieme, e distruggano loro sì, e per davvero, l’Europa.
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