Tra Greta e cantieri
E, ovviamente, il nuovo Pd, che inizierà a prendere forma con le liste aperte per le europee, ma si svilupperà anche negli organismi dirigenti, in particolare con i forum tematici che vedranno la partecipazione di associazioni e movimenti. Anche per questo, il discorso di Zingaretti non sarà rivolto solo alla platea dei delegati, ma vorrà già parlare al Paese, o almeno a quella parte di Paese che si sente lontana o delusa dall’onda giallo-verde: dai giovani scesi in piazza ieri per la mobilitazione green sollecitata dalla sedicenne svedese Greta Thunberg alle donne che si sono schierate contro il ddl Pillon, dalle migliaia di persone che hanno sfilato con il corteo antirazzista People a Milano a quelle che a Torino hanno voluto esprimere il proprio sì alla Tav.
Ma il suo intervento non è l’unica preoccupazione di Zingaretti in queste ore. Con l’aiuto dei fedelissimi Mario Ciarla e Marco Miccoli, il segretario è impegnato a sminare il percorso che dovrà portare domani all’elezione di Paolo Gentiloni a presidente e Luigi Zanda a tesoriere del partito. Le minoranze, infatti, non intendono concedere gratuitamente il loro appoggio per garantire l’elezione all’unanimità dell’ex premier (per la scelta di Zanda le sacche di malumore sono più radicate e quasi certamente non rientreranno del tutto). Lo si capisce anche dalle dichiarazioni di Matteo Renzi – che ha annunciato la sua assenza “per motivi familiari” – a proposito del voto su Gentiloni: “Se è la scelta di Zingaretti, va benissimo”. Una scelta “di Zingaretti”, quindi non condivisa, come avrebbero preferito lui e i dem che ancora lo seguono.
Su questa richiesta di condivisione delle nomine insiste molto l’area guidata da Luca Lotti e Lorenzo Guerini, come il banco di prova su cui costruire eventualmente un profilo di minoranza non pregiudizialmente ostile al nuovo segretario. Giachetti, invece, appare intenzionato a smarcarsi in ogni caso. Zingaretti sa bene di aver ricevuto dalle primarie una forza tale da consentirgli di andare avanti sulla propria strada, ma se rallentare un po’, senza pregiudicare il risultato, può servire a migliorare i rapporti interni, è disposto a farlo. Non è detto, ad esempio, che domani presenti all’Assemblea la candidatura dei due vicesegretari (una data per certa è Paola De Micheli), che potrebbero arrivare più in là. Per la segreteria c’è ancora un po’ di tempo, dato che questa dovrà passare il vaglio solo della Direzione. Per il resto, si tratta soprattutto di instaurare un dialogo con tutti, che dimostri la volontà di una gestione inclusiva del partito. Zingaretti ha già iniziato a tessere questa tela, ma – come fanno notare i suoi – l’operazione è più complicata del previsto, data la carenza di una leadership condivisa nella minoranza.
Le tensioni interne all’ormai ex mozione Martina stanno agitando infatti anche la vigilia di questa Assemblea. In ballo ci sono i membri da portare in Direzione (il vero ?parlamentino’ politico del partito, quello che ad esempio approva le liste per le elezioni), da eleggere anch’essi domani. La quota riservata a questa minoranza è di circa 32 delegati: l’area Lotti-Guerini ne reclama il 70%, mentre Martina, Richetti e Orfini vorrebbero spartirsi il 50%. Se una mediazione sulle quote di 60-40 appare raggiungibile, sarà importante spulciare anche i singoli nomi, dato che molti appartengono a un’area grigia di confine tra lottiani e martiniani. Da decidere è anche uno dei due vicepresidenti dell’Assemblea: se per la mozione Giachetti dovrebbe entrare Anna Ascani, è ancora aperta la trattativa interna (in pole position, la martiniana Debora Serracchiani). Ma l’assetto complessivo sarà trovato, come d’abitudine, solo all’ultimo momento utile dietro le quinte, mentre i delegati saranno impegnati in un dibattito da prolungare o ridurre secondo necessità.
Ma i nuovi equilibri non si capiranno solo dai dirigenti. In questo caso, infatti, sarà interessante domani misurare gli umori dell’Assemblea, che possono aiutare a capire ad esempio se la base di provenienza renziana tenderà a ricompattare le componenti guidate da Lotti e Giachetti in una linea dura con il segretario, oppure a divaricarle ancora di più tra una minoranza dialogante e una intransigente. Già durante la riunione dei parlamentari lottiani di mercoledì scorso erano emerse due linee differenti, che applausi e mugugni domani potrebbero divaricare.
Soprattutto, però, si noterà il cambio di rotta rispetto al passato: la sala fotograferà in maniera plastica la fine del dominio renziano sul Pd e l’apertura di una nuova fase. Riuscirà a rinnovare la classe dirigente? Apparirà sbilanciata a sinistra? Riuscirà a parlare a quel civismo spesso evocato da Zingaretti? Domani avremo le prime, seppur parziali, risposte.
L’HUFFPOST
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