Gli alleati e il senso del declino

di Massimo Franco

Luigi Di Maio con Virginia Raggi (Ansa)

Il Movimento Cinque Stelle di governo è entrato ufficialmente in Purgatorio: nello spazio ambiguo delle maggioranze parlamentari anche numericamente incerte; delle votazioni su ministri salvati dai processi grazie al soccorso di Giorgia Meloni e di Silvio Berlusconi, definito impresentabile ma benvenuto come stampella; e di sondaggi che mostrano come il trionfo del 4 marzo di un anno fa sia un miraggio oggi irripetibile. Le inchieste giudiziarie che a Roma colpiscono anche esponenti del grillismo sono solo il corollario di questo sfaldamento progressivo, e forse più profondo di quanto appaia. Rivelano il versante di una possibile corruzione, destabilizzante per l’identità manichea del Movimento, basata su un’autopercezione di superiorità anche morale. E acuiscono le contraddizioni, mettendo a confronto l’«assoluzione» in Senato di Matteo Salvini, alleato leghista ingombrante ma indispensabile, e l’espulsione-lampo del presidente grillino dell’Assemblea capitolina, Marcello De Vito, dopo l’arresto. Insomma, due comportamenti agli antipodi nello stesso giorno. Se a questo si aggiunge la difesa d’ufficio del ministro delle Infrastrutture, Danilo Toninelli, ieri nell’aula di Palazzo Madama, il quadro purgatoriale risulta ancora più chiaro. A dargli visibilità è lo smarcamento della Lega, che ha lasciato i Cinque Stelle soli ai banchi del governo, salvo una fugace apparizione finale di un paio di ministri.

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