Gli alleati e il senso del declino
Con il tocco vagamente grottesco di Toninelli, che per contestare la richiesta di sfiducia del Pd ha concluso l’intervento rivendicando la «targa portabile» che introdurrà per la felicità degli automobilisti. Sullo sfondo di questo affresco scheggiato, si intravedono le sagome del vicepremier Luigi Di Maio e della sindaca di Roma, Virginia Raggi.
Si intravedono, perché tutte le mosse di questi giorni e di queste ore sono state compiute per proteggerne il profilo; per scindere le loro responsabilità da qualunque atto che ne metta in dubbio integrità e capacità: sebbene la lista cominci a allungarsi, a livello nazionale e locale, con l’indagine di ieri sull’assessore di Raggi, Daniele Frongia, che si è autosospeso. Palazzo Chigi e il Campidoglio appaiono uniti da un unico destino, che è quello del Movimento e dei suoi vertici «governisti». Non possono e non devono cadere, perché altrimenti crollerebbe l’impalcatura messa in piedi dalla Casaleggio Associati e dai suoi rappresentanti disseminati strategicamente nei gangli del potere grillino. Eppure, è difficile sottrarsi alla sensazione che la maggiore forza dell’esecutivo giallo-verde abbia imboccato una china discendente difficile da risalire. Mescola alla crisi di leadership di Di Maio quella della credibilità non solo delle sue proposte miracolose, ma della capacità di offrire una strategia alternativa all’Italia. La speranza degli elettori di «provare la novità» dei Cinque Stelle, dopo i risultati deludenti dei governi precedenti, comincia a affievolirsi. Di certo non si torna indietro, ma il M5S non appare in grado di andare molto avanti: se non a rimorchio di quel Salvini che propone un’agenda «grillina» esclusivamente nelle pulsioni anti-sistema e antieuropee.
La rapidità con la quale tende a bruciare i suoi leader, reali o in pectore, assimila il Movimento ai partiti dai quali vuole marcare la diversità. Alessandro Di Battista, dopo il suo sabbatico guatemalteco, è passato dal ruolo di riserva elettorale a quello di desaparecido usato e messo da parte in poche settimane. E non tutti sono pronti a scommettere sul futuro di Di Maio, sebbene sia considerato tra i migliori. Ma la domanda è se, a prescindere dai singoli dirigenti, i Cinque Stelle avranno un futuro che non sia una ritirata nel vecchio recinto minoritario: nel Paradiso dell’opposizione senza responsabilità.Il prezzo che sta pagando è evidente. Oscilla tra una realpolitik fatta di compromessi difficili da giustificare se non in nome del potere, e gli istinti primordiali che uniscono giustizialismo, terzomondismo, pretese palingenetiche, e presunzione: miscela tossica di fronte a una situazione che si presenta già complessa per chiunque governi. Quanto al prezzo per l’Italia, aleggia il timore che la maggioranza stia percorrendo una strada opposta a quella che porta fuori dalla crisi. Non è solo l’effetto di un preconcetto, ma della rivincita della realtà su una voglia di cambiamento affidata a un «nuovo» effimero e velleitario, esposto alle infiltrazioni dei comitati d’affari.
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