Giustizia e valori intoccabili

di Angelo Panebianco

Quando sulla graticola (avvisi di garanzia, arresti eccetera) ci finiscono gli antigarantisti, coloro che hanno costruito le proprie fortune e calamitato consensi dedicandosi al sistematico linciaggio morale degli avversari, lucrando sulle disgrazie giudiziarie altrui, si possono adottare l’uno o l’altro di due atteggiamenti. Si può scegliere di battere le mani e limitarsi a dire «Ben vi sta. Chi di spada ferisce, eccetera eccetera». E passare ad altro. Oppure si può cercare di sfruttare la «finestra di opportunità», ci si può sforzare di parlare a quelli — ora certamente disorientati — che hanno seguito i linciatori morali come se fossero il pifferaio di Hamelin. Allo scopo di far capire loro quanto sbagliato — anzi, barbaro — fosse l’atteggiamento di chi condannava le persone prima che ci fosse una sentenza di tribunale, di chi trattava da accertato «criminale» chiunque fosse soggetto a un qualche procedimento da parte di una procura. Forse la tempesta giudiziaria che si è abbattuta a Roma sulla giunta Raggi farà capire a qualcuno che non lo aveva capito quale sia il prezzo che una collettività paga quando rinuncia ad attribuire valore a certi principi liberali. Complice anche il fatto che qui da noi esiste l’unità delle carriere (fra giudici e procuratori), molti fanno, da sempre, confusione fra l’azione di una procura e la sentenza di un tribunale.

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