Dietro le schermaglie sulla Cina, la guerra dei porti fra Italia e Nord Europa
“Perché le navi portacontainer dell’Estremo Oriente dovrebbero andare a Rotterdam e ad Amburgo se potessero scaricare le loro merci già in Italia e in Grecia?”. La domanda peregrina è apparsa qualche giorno fa in un commento della corrispondente da Pechino della Faz. L’adesione in solitaria dell’Italia alla Via della Seta ha fatto da sfondo al vertice a quattro di Parigi tra i leader dell’Ue de iure (Jean Claude Juncker) e de facto (Angela Merkel ed Emmanuel Macron) e il presidente Xi Jinping: “Nessuno di noi è ingenuo, rispettiamo la Cina e naturalmente ci aspettiamo che i nostri principali partner rispettino l’unità dell’Unione Europea e i suoi valori”. Dopo aver firmato contratti dal valore superiore ai 40 miliardi di euro (la commessa per 300 Airbus alla società statale cinese CASC vale da sola 30 miliardi) Macron ha incontrato Xi per la terza volta in due giorni. Questa volta accompagnato, come detto, da Juncker e Merkel. Il motivo ufficiale è stata la preparazione del summit Ue-Cina del 9 aprile, quello reale è prendere le misure al mastodontico progetto di politica economica e infrastrutturale che Pechino è intenzionata a concludere nei prossimi anni e che ha visto l’adesione del primo Paese del G7, l’Italia, suscitando l’irritazione degli Stati del Nord Europa e degli Usa.
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